Bruxelles – Un rider su due nell’Unione Europea è sottopagato o non remunerato per una parte del tempo trascorso sul luogo di lavoro. A denunciarlo è un’indagine dell’Istituto sindacale europeo (ETUI) condotta in 14 Paesi UE e con una copertura dell’84 per cento della popolazione in età lavorativa: metà del lavoratori delle piattaforme digitali sul territorio comunitario riceve un salario inferiore a quello minimo legale nel Paese in cui è impiegato.
Le stime dell’indagine portata avanti nel 2021 dall’ETUI confermano i dati presentati dalla Commissione UE in occasione della presentazione delle misure per migliorare le condizioni di lavoro nelle piattaforme digitali nel dicembre dello scorso anno. Sui 12 milioni di lavoratori della gig economy (modello economico basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo), un quarto basa la propria principale fonte di reddito sul lavoro su piattaforma digitale. Il numero maggiore di lavoratori di queste piattaforme che vengono retribuiti con un salario orario inferiore al minimo legale riguarda il clickwork (lavoro a distanza, come micro-compiti al computer), che rappresentano il 55 per cento del totale. Per autisti di società di ride-hailing (come Uber) la percentuale si attesta al 48 per cento, mentre per i rider veri e propri (trasporto di cibo) al 42 per cento. Anche chi lavora in un posto fisso, come i badanti, rischia di essere sottopagato (46 per cento).
L’ETUI ha comunque rilevato che “le piattaforme di lavoro digitali non dominano ancora il mercato del lavoro online“, dal momento in cui i lavoratori della gig economy rappresentano meno di un quinto di tutti quelli che basano il proprio lavoro su Internet (47,5 milioni). Sul piano della stratificazione sociale, i lavoratori delle piattaforme non rappresentano un gruppo distinto”: più della metà ha un’età pari o superiore ai 35 anni, mentre poco meno del 40 per cento sono giovani sotto i 35 anni (il restante 10 per cento ha più di 60 anni). Se il lavoro a distanza è suddiviso quasi equamente tra lavoratori e lavoratrici, i traporti sono a netta prevalenza maschile (80 per cento), mentre i luoghi di lavoro fissi mostrano una maggioranza femminile (più del 60 per cento). Integrando le recenti considerazioni dello studio dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE), “le divisioni di genere si replicano nell’economia della piattaforma anche quando non ci sono pratiche di assunzione discriminatorie”, avverte l’ETUI.