Ci sono due cose, e solo due che i leader europei possono fare a proposito della prossima Commissione, due cose che vanno anche al di là della “questione istituzionale” sul ruolo del Consiglio e quello del Parlamento. Al di là dei modesti trucchi che Martin Schulz sta usando per essere della partita negoziale e delle umiliazioni che si stanno praticando sul povero Jean-Claude Juncker.
La prima cosa è dare continuità al passato, con una Commissione modesta, composta di figure modeste, guidate da un capo senza nerbo che ha fatto della continua consultazione con i grandi la sua linea, completamente sbagliata, di condotta. Questi dieci anni di Commissioni Barroso saranno ricordati solo perché c’è stata di mezzo la crisi, e perché sono stati commessi una serie di errori che si sarebbero potuti evitare se alla giuda del Berlaymont ci fosse stato qualcuno in grado di vedere le questioni dall’alto e di essere conseguente. Non che il portoghese non ne abbia le capacità intellettuali, credo sia un uomo intelligente e pieno di sapienza. Semplicemente non ha la spina dorsale ed ha preferito segnare il suo passaggio a Bruxelles con un profilo basso. Forse avrebe raddoppiato il suo mandato anche avendo un atteggiamento diverso, o, certamente, avrebbe potuto comportarsi diversamente una volta ottenuto il secondo “term”. Invece ha preferito continuare come prima, anzi, forse rendendosi più permeabile di prima. Diciamo queste cose non per antipatia verso Barroso, che è anche un uomo simpatico, ma perché così facendo ha azzoppato l’Unione europea, l’ha resa un’entità intergovernativa di gabinetto, nel senso che la macchina è andata avanti per le volontà dei governi dei Ventotto, e non per quella dell’Unione, e tra i ventotto c’è stato, diciamo così, un motore propulsivo composto da un numero molto ridotto di Cancellerie.
E’ stato un modo di cancellare il valore dell’Unione e di fatto di aprire ai populismi, alimentati dalla inefficienza che ha un accordo intergovernativo rispetto a un procedere unitario. La colpa non è tanto quella di non aver risolto rapidamente la crisi, ma quella di aver completamente sbagliato l’approccio, scegliendo di tenere lontani i cittadini e la maggior parte dei governi. Si sarebbe potuto anche sbagliare procedendo in un modo “federale”, ma gli effetti secondari sarebbero stati diversi. Non si sarebbe, certamente, alimentato il nazionalismo, la xenofobia, lo sciovinismo, la corsa di tutti contro tutti.
La seconda cosa che si può fare, evidentemente, è formare una Commissione che sia composta, almeno, da personalità forti. Non si arriverà ora ad avere un Presidente di commissione che possa essere davvero almeno “alla pari” con i capi dei governi, ma trovarne uno che, tenuto conto della situazione complessiva e della interdipendenza delle condizioni sia in grado di elaborare un progetto utile per tutti, abbia il coraggio di farlo per poi magari vederselo bocciare, se i capi di governo ne avranno il coraggio e la forza. Qualcuno che inverta il processo decisionale per cui non si parte dal gradimento di Berlino, Parigi e Londra, e neanche Roma, ma si proponga qualcosa che fa bene a ventotto capitali, su cui magari i governi si dividono, sul quale si fanno pesare i voti o escano dei veri “veti” (che, per inciso, durante la Commissione Barroso non sono mai stati posti e quasi mai sono stati minacciati in materie sulle quali veramente potevano essere applicati).
Un presidente che si sappia chi è. Anche Juncker, diciamoci la verità, il Parlamento fa bene a difenderne il ruolo, ma chi lo conosce, chi è? Si rincorrono le indagini che spiegano che, nonostante la campagna elettorale è conosciuto, come nome, da meno del 10% degli europei, e lo stesso vale per Schulz. Pure i commissari potrebbero essere scelti con più occhio ad una qualità internazionale, ad una notorietà che vada oltre i loro paesi (quando ce l’hanno). Certo il rappresentante dell’Estonia o di Cipro difficilmente sarà un nome noto, ma in Italia, in Francia, in Gran Bretagna c’è da scegliere. Lo si faccia, si investa. Questa, ricorda l’ambasciatore italiano presso l’Ue Stefano Sannino “non è terra di rivoluzioni”, ed è vero, ma è terra di evoluzioni, spiegava. Si può fare.