Più che un partner strategico la Cina è un partner economico pericoloso per i rischi che rappresenta e soprattutto porta in Europa. E’ questa la visione del Parlamento europeo, come evidenziato nello studio su “gli investimenti cinesi nell’Unione europea” realizzato dal servizio ricerca dello stesso Parlamento. Lo studio evidenza pro e contro della presenza di investitori cinesi in Europa. Se di buono c’è che la loro attività stimola l’occupazione (gli investimenti cinesi danno lavoro a 45mila europei in tutta l’Ue) e “aiuta l’accesso europeo in Cina”, per contro la forte presenza cinese nell’economia comunitaria la espone a “diversi” rischi, in primo luogo l’esposizione alla volatilità macro-economica cinese. Gli investimenti cinesi in Europa risentono dell’andamento economico cinese e delle politiche economiche cinese, e in tale ottica al Parlamento europeo non sfugge il rischio legato a un possibile trasferimento dell’attività cinese dall’Ue alla Cina. Il rischio, in sostanza, è che i cinesi rilevino settori prodottivi e aziende europee per poi trasferirle in Cina, con i conseguenti aumento della disoccupazione e perdita economica dovuta alla mancata imposizione fiscale.
Un caso emblematico per il servizio ricerca del Parlamento europeo è quello di Volvo. Il marchio automobilistico svedese acquisito da Ford nel 2010 è stato venduto dalla casa statunitense ai cinesi di Geely per 1,8 miliardi di dollari. L’operazione nell’immediato ha permesso di salvare 16mila posti di lavoro nell’Ue, ma poi Volvo “ha visto la propria quota di mercato ridursi e i propri profitti diminuire” per effetto della gestione cinese. Come mai? L’investitore cinese ha iniziato a dirottare la produzione a casa propria. Geely, rileva lo studio, “ha deciso di continuare a produrre e vendere Volvo in tutto il mondo” ma allo stesso tempo “ha aperto stabilimenti in Cina e creato una rete di concessionarie”. Questo per motivi di costi, ovviamente. In Cina si possono applicare modelli di lavoro e previdenziali ben al di sotto degli standar europei. Un altro rischio legato alla presenza cinese in Europa non a caso è quella di “un impatto negativo sui sistemi di welfare europei”. I cinesi potrebbero scardinare i modelli dell’Ue imponendo condizioni peggiori. Ma non finisce qui. Da un punto di vista industriale l’Ue ha tutto da rimetterci. Gli europei che hanno investito in Cina, premette lo studio, “hanno avuto problemi” nella protezione delle tecnologie fondamentali da riproduzione o copia, e “lo stesso problema può riproporsi laddove attività europee sono rilevate da investitori cinesi”.
Tutti questi aspetti secondo gli autori dello studio “devono essere risolti” dall’accordo Ue-Cina sugli investimenti che l’Ue ha avviato nel 2013. L’invito alla Commissione che verrà è quello di evitare “accordi al ribasso” che sarebbero penalizzanti per l’Ue. Invito esteso implicitamente anche al Consiglio. Vista la crisi da cui si fa fatica a uscire per il Parlamento “c’è il rischio di una competizione al ribasso tra gli stati membri dell’Ue pur di attrarre gli investimenti cinesi”. Uno scenario da scongiurare, anche perchè “se i paesi dell’Ue diventassero dipendenti dagli investimenti cinesi la Cina potrebbe minacciare di negarli e influenzare così le politiche dell’Unione europee”.