Bruxelles – Iniziano a venire a galla i malumori all’interno del Gruppo di Visegrád sulle violazioni dello Stato di diritto di Polonia e Ungheria e, proprio nell’anno in cui la Repubblica Ceca andrà ad assumere la presidenza di turno del Consiglio dell’UE (da luglio a dicembre), Praga non si nasconde più. “Budapest e Varsavia sono in serio conflitto con il resto dell’Unione Europea, mentre in Repubblica Ceca e Slovacchia la musica è diversa. La significatività della cooperazione su base Visegrád si è indebolita“, ha puntato il dito il nuovo ministro per gli Affari europei, Mikuláš Bek, in un’intervista per il quotidiano della capitale ceca Hospodářské noviny.
“È fondamentale un allineamento a livello UE sulla difesa dello Stato di diritto, che a oggi viene violato in entrambi i Paesi”, ha messo in chiaro Bek, sottolineando anche che su tutti i temi caldi sul tavolo “la nostra posizione è sicuramente diversa dalla loro”. Dalla violazione dei diritti delle comunità LGBT+ all’indipendenza del sistema giudiziario, in particolare in Polonia. Proprio a proposito dello scontro in atto tra Bruxelles e Varsavia, il ministro ceco per gli Affari UE ha espresso “seri dubbi” sull’imparzialità della Corte Costituzionale polacca, che ha messo ripetutamente in discussione il primato del diritto comunitario sulla legge nazionale: “Rischia di avere un effetto destabilizzante sulla regione”. Bek si è detto inoltre “preoccupato sull’oligarchizzazione dell’Ungheria”, anche considerato il recente endorsement dell’ex-presidente statunitense Donald Trump al premier Viktor Orbán.
Si tratta di una serie di criticità che rischiano di spaccare in due il Gruppo di Visegrád (fondato nel 1991 da Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Polonia per promuovere il loro ingresso nell’UE e nella NATO). Per il ministro ceco il punto di svolta potrebbe essere rappresentato dalle tornate elettorali in Ungheria e in Polonia, rispettivamente nell’aprile di quest’anno e nel 2023. Ma Praga guarda oltre i tradizionali alleati, in conflitto con Bruxelles, e proverà a sfruttare la visibilità offerta dalla presidenza di turno: “La Repubblica Ceca non vuole abbandonare le partnership esistenti, ma crearne di nuove anche con altri Stati membri UE“. Si guarda alla Germania (principale partner commerciale), all’Austria (per un’intesa sull’assistenza finanziaria all’industria automobilistica ceca) e alla Francia (per riconoscere il nucleare come energia pulita nella ‘tassonomia verde’ dell’UE).
Al netto delle dichiarazioni dirompenti, il ministro indipendente del nuovo governo guidato da Petr Fiala (in carica dallo scorso 17 dicembre) non può dimenticare le divisioni in casa. “È chiaro che ci sono voci influenti all’interno del Partito Democratico Civico che si schiereranno con l’Ungheria e la Polonia, ma il governo deve trovare una linea comune”. Il Partito Democratico Civico (ODS), che esprime l’attuale primo ministro, è affiliato al gruppo europeo di destra ECR (Conservatori e Riformisti Europei) e in Parlamento UE ha sempre votato contro le condanne a Varsavia e Budapest sulle violazioni dello Stato di diritto.
Una presa di posizione netta da parte del nuovo governo della Repubblica Ceca guidato da ODS – che aveva promesso “l’arrivo del cambiamento”, dopo la vittoria alle elezioni dello scorso ottobre – sull’attivazione del meccanismo sullo Stato di diritto contro Polonia e Ungheria (per l’erogazione dei fondi del bilancio pluriennale UE) potrebbe essere un segnale di scostamento dalla politica portata avanti dall’ex-premier, Andrej Babiš. Dal 2017 il primo ministro miliardario ha cercato di stringere il più possibile i legami all’interno del Gruppo di Visegrád, per permettere ai Paesi dell’Europa centrale e orientale di esercitare maggiore peso sulle politiche comunitarie. Da aprile Babiš era però entrato in rotta di collisione con Bruxelles, avendo cercato di legalizzare i propri conflitti d’interesse attraverso una legislazione ad hoc, per ricevere personalmente fondi europei per l’agricoltura attraverso il colosso agrochimico Agrofert.