Un esempio di cieca burocrazia giuridica del quale non si sentiva il bisogno, proprio a tre giorni dalle elezioni europee. La Corte di giustizia dell’Ue ha oggi sentenziato che, anche se l’Italia è a posto con la regolamentazione sulle gabbie per le galline ovaiole, siccome si è messa in regola in ritardo un anno fa, merita oggi il marchio di inadempiente.
La storia va avanti da tempo e l’Italia ha, in effetti, un sacco di torti. Per anni e anni milioni di galline sono state allevate in gabbie atrocemente piccole, dove l’animale non può muoversi liberamente, dove si ferisce e soffre, si ammala e rischia di ammalare anche le uova. La Commissione europea dopo anni nei quali ha atteso che da Roma ci si mettesse in regola con le norme comuni ha alla fine chiesto alla Corte di accertare che l’Italia, non avendo garantito che, a partire dal 1° gennaio 2012, le galline ovaiole non fossero più tenute in gabbie non modificate, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva 1999/74/CE.
La direttiva del 1999 dispone che, in funzione dei sistemi adottati, gli Stati membri provvedono affinché gli allevatori di galline ovaiole applichino i requisiti specifici secondo i quali tenere galline in gabbie non modificate (almeno 550 cm2 di superficie e 40 cm di altezza) è vietato a decorrere dal 1° gennaio 2012. La Commissione ha spiegato alla Corte che l’Italia non è stata in grado di garantire che le galline ovaiole non fossero più allevate in gabbie non modificate anche al momento della scadenza del termine fissato nel parere motivato rivoltole, e sottolinea che “l’Italia non contesta tale situazione e si è limitata a indicare che tutte le aziende italiane coinvolte sarebbero state allineate ai requisiti derivanti solo a partire dal 1° luglio 2013. Alla data del 4 dicembre 2012, 239 aziende allevavano ancora sul territorio italiano 11.729.854 galline in gabbie non modificate”.
L’Italia ha ribattuto spiegando che alla data del deposito della controreplica in questa causa, nessun allevamento sul territorio italiano utilizzava più gabbie non modificate, ad eccezione di uno solo, in Veneto, oggetto di un procedimento giudiziario ancora pendente.
Però niente: nella sua sentenza oggi la Corte sostiene che l’esistenza di un inadempimento “dev’essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato (nel nostro caso: 22 agosto 2012). Non possono essere prese in considerazione dalla Corte modifiche successive”. Pertanto, la Corte dichiara che “l’Italia, non avendo garantito che, a partire dal 1° gennaio 2012, le galline ovaiole non fossero più tenute in gabbie non modificate, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli articoli 3 e 5, paragrafo 2, della direttiva 1999/74/CE del Consiglio, del 19 luglio 1999, che stabilisce le norme minime per la protezione delle galline ovaiole”.
Pura burocrazia, perché la Corte stessa spiega che “qualora la Corte di giustizia accerti l’inadempimento, lo Stato membro interessato deve conformarsi alla sentenza senza indugio”.
In realtà lo Stato l’ha già fatto, dunque a che serve questa sentenza penalizzante per l’Italia? Giusto così, come si direbbe a Roma, “per tigna”, perché esisterà, deve esistere un sistema per bloccare un procedimento se l’oggetto del ricorso è cambiato. Se non esiste allora abbiamo un problema. Speriamo solo che la Commissione, come potrebbe dopo una sentenza di inadempimento, non imponga sanzioni pecuniarie.