Partecipare non è solo un diritto, è un dovere. Partecipare scegliendo con ragionevolezza è anche più utile. Domenica prossima, il 25 maggio, non andare a votare o votare senza fermarsi un momento (o anche due) a riflettere sarebbe un atto autolesionista. Il primo peggio ancora del secondo, ovviamente.
Il Parlamento europeo, insieme alla Commissione e al Consiglio (che è il consesso dei governi dei 28) non è una cosa che sta lì e che non ci riguarda, è un organismo che vive anche grazie al nostro contributo, e se si ammala ci ammaliamo anche noi. C’è molto di sbagliato nel come in Italia e in tanti paesi dell’Unione si guarda all’Europa, a partire dai giornali, che mettono la redazione da Bruxelles nel settore “Esteri”, come fosse Buenos Aires, Pretoria, o Pechino. Non si è ancora capito, non si vuol capire, che di questo progetto noi facciamo parte, tra l’altro come fondatori, perché siamo convinti che esserci ci porti degli effetti positivi. E degli effetti comunque ce li porta. Che siano positivi dipende anche da noi, dal fatto, in primo luogo, che partecipiamo andando a votare e dicendo la nostra e poi da quello di votare per chi, realisticamente, vuole e può fare qualcosa per la gestione di questo complicato carrozzone.
Forza Italia, Pd, Green Italia, Fratelli d’Italia, L’Altra Europa, Lega, M5S, Ncd e tutti gli altri: meglio votare uno di loro che stare a casa e lasciare che altri decidano per noi. Perché è questo quel che succede quando non si va a votare, quando non si partecipa, anche quando si decide di non mettere le preferenze e lasciare che siano quelle di un altro a decidere il deputato che eleggiamo.
Però, e lo diciamo con responsabilità, votare per chi promette l’impossibile è commettere un errore che sta appena al di sotto del non votare. Entrando in cabina dobbiamo tener presente che coloro che eleggeremo in Italia agiranno in un contesto a 28, dove le maggioranze si creano costituendo alleanze tra membri del partito A italiani, polacchi, tedeschi, portoghesi, con membri del partito B che sono anche sloveni, cechi, spagnoli ed estoni. I partiti che non hanno una proiezione europea, che non sono nelle cinque famiglie principali (popolari, socialisti, verdi, liberali, sinistra) purtroppo, contano poco, di norma nulla. A differenza del criterio che si può adottare in un’elezione nazionale: voto per questo partito che è piccolo ma crescerà e conterà, in Europa questo discorso non vale, o vale poco, se il partito prescelto non ha forze sorelle in altri paesi dell’Ue. Ad esempio, i partiti nazionalisti: per loro natura non possono avere un programma comune europeo (se non quello di chiudere l’Unione, o cancellare l’euro, che però non rientrano tra i poteri del Parlamento). Ognuno di loro ha come priorità assoluta il dire ai propri elettori che ha fatto qualcosa che, di solito in maniera non efficiente, porterà profitto a loro, a scapito di altri.
Avete visto un mappamondo, e magari un mappamondo con le aree economiche? Basta guardare per qualche istante un’immagine del genere (e sapere che nei prossimi anni l’Unione europea è l’unica zona del Mondo che non crescerà) e vedere quanto questo insieme di paesi sia una piccola cosa nel mondo, che deve essere unita per sopravvivere e a maggior ragione per contare. Siamo una antica e robusta corazzata ora un po’ male in arnese che ha speranze solo se insieme si rattoppano le falle, se invece si divide in tante diverse scialuppe, magari per le prime ore navigano benino, ma poi il mare è grande e pieno di enormi onde pronte a travolgerle.