Bruxelles – Vincono i socialdemocratici, crollano i conservatori. Ma la vera protagonista di queste elezioni per la cancelleria in Germania è l’incertezza sul futuro politico del Paese. Secondo i risultati provvisori diffusi questa mattina dalla Commissione elettorale federale, l’SPD ha conquistato il 25,7 per cento dei consensi elettorali, seguita a breve distanza dalla CDU-CSU (il blocco conservatore formato dall’Unione Cristiano-Democratica e dal partito gemello bavarese dell’Unione Cristiano-Sociale) al 24,1 per cento. Entrambi i partiti ora rivendicano la guida del nuovo governo, il cui destino sarà tutto nelle mani dei futuri alleati.
Lo stretto margine tra il primo e il secondo partito – e le identiche pretese rispetto alla cancelleria – non rende giustizia al reale significato di questa tornata elettorale, se comparata con i risultati di quattro anni fa. I socialdemocratici, guidati dall’attuale vicecancelliere e ministro delle Finanze, Olaf Scholz, sono risorti dalla batosta del 2017, conquistando più di cinque punti percentuali e riportando al Bundestag la delegazione maggiore di deputati (con questi risultati, 206 in tutto). Per Scholz si somma poi un successo tutto personale, nel testa a testa del collegio di Potsdam con la candidata dei Verdi, Annalena Baerbock: con il 34 per cento delle preferenze, il candidato socialdemocratico si è assicurato il seggio parlamentare assegnato con il sistema uninominale, con la diretta concorrente ferma al 18. Per quanto riguarda il blocco CDU-CSU, il candidato Armin Laschet ha portato invece i conservatori al risultato peggiore di sempre. Si tratta di un crollo verticale di 8,8 punti percentuali rispetto alle ultime elezioni federali, in cui nemmeno i cristiano-sociali hanno retto nel fortino della Baviera (-1 per cento).
Che le urne non avrebbero consegnato un vincitore certo di queste elezioni in Germania era chiaro già alla vigilia. Ma considerate le analisi del voto così agli antipodi, ci si aspettava quantomeno un passo indietro da parte del candidato della CDU. Invece Laschet ha rilanciato il blocco conservatore, sostenendo che “non sempre il partito con più voti alla fine ha formato un governo” e che “chi diventerà cancelliere dovrà essere capace mediare tra tre partiti”. L’erede di Angela Merkel non vuole essere ricordato come colui che ha guidato la CDU all’opposizione dopo 16 anni ininterrotti di governo e punterà tutte le sue carte sulla stabilità che il suo partito può dare al governo nascente. La sua credibilità è però messa in crisi dagli orientamenti dell’elettorato, fattore da non sottovalutare e che è sotto gli occhi di tutti.
Una delle poche certezze che questo voto lascia in eredità è che si va verso la fine dell’era della Große Koalition tra CDU ed SPD. Anche se potenzialmente i numeri per la maggioranza potrebbero ancora esserci (ai 206 deputati socialdemocratici si andrebbero a sommare i 196 conservatori, su 735 membri totali del Bundestag), è il clima politico a essere ormai cambiato rispetto all’era della grande coalizione. Considerate le sempre maggiori frizioni tra i due alleati di governo e la difficile convivenza dopo questi mesi di campagna elettorale, né Scholz né Laschet sono orientati verso questa soluzione e, a dirla tutta, nessuno dei due candidati sembra avere la statura politica della cancelliera Merkel per tenere insieme un’alleanza ormai logora.
La partita dei Verdi e dei liberali
A questo punto, in attesa dei risultati definitivi delle elezioni in Germania, diventa sempre più cruciale il ruolo dei Verdi e dei liberali dell’FDP. Il partito ecologista guidata da Annalena Baerbock è cresciuta al 14,8 per cento, rispetto al 9 di quattro anni fa. Un risultato che è sì nettamente inferiore alle aspettative della campagna elettorale (in particolare in primavera, quando era diventato la prima forza del Paese secondo i sondaggi), ma che comunque porterà i Verdi al tavolo delle trattative per la formazione del governo. La stessa Baerbock l’ha definito un “risultato fantastico”, che consegna alla forza ecologista “un mandato per il futuro” e la prospettiva di un “governo del clima”.
Stesso discorso si può fare per il Partito Liberal-Democratico di Christian Lindner, che esulta per un esito elettorale storico. L’11,5 per cento significa diventare un interlocutore imprescindibile per costituire “una coalizione dal cuore democratico”, come ha sottolineato lo stesso leader del partito. Per Lindner si tratta non solo di un successo del partito, ma anche individuale: dopo aver raccolto un’FDP allo sbando nel 2013 – esclusa dal Bundestag per non aver superato la soglia di sbarramento – in meno di dieci anni ha riportato il partito al centro della scena politica tedesca. Ora sembra quasi impossibile che il futuro governo non abbia una sfumatura gialla FDP e per il presidente dei liberali si apre un’autostrada per un ministero-chiave (quello delle Finanze è l’obiettivo dichiarato).
Liberali e Verdi hanno già dichiarato di volersi confrontare per capire quali siano i loro punti di contatto, ma soprattutto quale alleanza si potrà andare a formare. I dossier principali sul tavolo giallo-verde su cui si dovrà trovare un’intesa sono la digitalizzazione del Paese, la tassazione delle aziende, la lotta ai cambiamenti climatici, l’ampliamento dei diritti sociali e il rafforzamento della democrazia europea. È chiaro che da queste discussioni usciranno le linee di mediazione da proporre a chi sarà in grado di assumere l’eredità della cancelliera Merkel (che guiderà il Paese fino all’insediamento del nuovo governo). Sia che si tratti del socialdemocratico Scholz, vincitore di queste ultime elezioni in Germania, sia che si tratti di un colpo di coda di Laschet, nonostante il risultato peggiore di sempre nella storia della CDU.
La coalizione che verrà
Gli scenari di una coalizione “a tre” saranno definiti dai rapporti di forza e di abilità nella mediazione politica tra socialdemocratici, conservatori, Verdi e liberali. “Non avremo bisogno dei gruppi ai margini, il che è una buona notizia“, ha confermato il presidente del Partito Liberal-Democratico. Per l’estrema destra di Alternative für Deutschland – esclusa comunque a priori dall’arco costituzionale – il 10,3 per cento dei consensi è un risultato deludente: non solo AfD è in calo rispetto alle elezioni del 2017, ma nella prossima legislatura non potrà nemmeno rivendicare il ruolo di prima forza di opposizione al Bundestag. La sinistra di Die Linke balla invece pericolosamente sulla soglia di sbarramento al 5 per cento: “I numeri parlano chiaro, dobbiamo farci delle domande”, ha confermato il co-leader del partito, Dietmar Bartsch.
Considerata l’impraticabilità di una coalizione rosso-verde-rosso e una Kenia-Koalition con SPD, CDU e Verdi (dai colori della bandiera del Paese africano, nero-verde-rosso) che non ha nessuna intenzione di decollare per le frizioni tra socialdemocratici e conservatori, si può iniziare a ragionare sulle due uniche alternative rimaste. O una coalizione semaforo con Verdi, gialli dell’FDP e rossi dell’SPD, oppure un’alleanza Giamaika con Verdi, FDP e CDU (dai colori della bandiera dell’isola caraibica, nero-verde-giallo). Ecco che si spiega il ruolo cruciale che rivestiranno Verdi e liberali su questo scacchiere politico, tenendo in pugno le ambizioni sia di Scholz sia di Laschet di conquistare la cancelleria tedesca.
Qualsiasi soluzione si rivelerà vincente, dovrà comunque passare da un compromesso con le posizioni di partenza di ciascun partito. A oggi, gli accoppiamenti “naturali” sono CDU-liberali e SPD-Verdi: nell’ottica di governo qualcuno dovrà fare un passo in più. Il leader socialdemocratico Scholz ha ribadito che l’SPD ha una “buona sovrapposizione” con i Verdi, ma che il suo desiderio è quello di “essere costruttivo”, aprendo così la porta all’FDP. Gli stessi liberali hanno confermato la loro preferenza per un’alleanza con i conservatori, ma anche che sono “aperti a possibili alternative di governo”, si è sbilanciato il vicepresidente del partito, Wolfgang Kubicki. Ancora non è chiaro se e come Verdi e CDU andrebbero a risolvere i contrasti che li hanno visti protagonisti durante gli ultimi dibattiti televisivi tra candidati.
Nel 2017 erano serviti tre mesi per trovare la quadra del quarto governo guidato da Angela Merkel. Quattro anni dopo, con uno scenario post-elettorale ancora più frammentato, i tempi di formazione della prima coalizione dell’era post-Merkel rischiano di essere ancora più lunghi. La speranza per i tedeschi è quella di avere un nuovo governo al più tardi sotto l’albero di Natale.