Bruxelles – Lotta al cambiamento climatico, protezione della biodiversità e delle foreste, economia “blu” e preparazione alle future crisi ambientali. Sono cinque i punti della Dichiarazione di Atene su cui Italia, Francia, Grecia, Spagna, Cipro, Malta, Slovenia e Croazia hanno concordato di dover rafforzare la loro cooperazione e preparazione alle conseguenze del surriscaldamento terrestre.
I leader dei nove Paesi del sud Europa si sono incontrati nella capitale greca venerdì 17 settembre, sotto gli occhi della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, che ha ricordato quanto “gli studi sul clima e gli eventi recenti abbiano dimostrano che la regione mediterranea è a rischio”. L’accordo per una cooperazione rafforzata arriva a conclusione dell’estate più calda registrata nel Continente europeo, in cui il cambiamento climatico ha mostrato più di altre volte gli effetti devastanti sul territorio, tra gli incendi in Italia e Grecia alle alluvioni che hanno scosso Germania, Belgio e Paesi Bassi. “Stiamo rafforzando la protezione civile dell’UE attraverso i fondi del Next Generation” assicura la presidente, sottolineando il ruolo del Green Deal per “rendere la regione il leader delle soluzioni per il clima”.
Cooperazione rafforzata sulle principali questioni che riguardano il cambiamento climatico, ma buona parte della Dichiarazione di Atene è soprattutto un messaggio politico ai quasi duecento Paesi che nel 2015 hanno siglato gli accordi di Parigi a rafforzare il proprio impegno nel raggiungimento degli obiettivi del più importante trattato internazionale sul clima degli ultimi anni, che prevede di circoscrivere il surriscaldamento del pianeta entro i 2° C. A sei anni da quell’impegno, il mondo della scienza chiede di più per rimanere ben al di sotto la soglia di 1,5° C. La sfida climatica è un problema globale, e globalmente va affrontato: “E’ necessario che tutte le parti adottino nuovi obiettivi ambiziosi in modo coerente ed equilibrato e si impegnino nella loro attuazione, al fine di raggiungere il risultato più ambizioso dalla COP26”, si legge nel documento.
Manca poco più di un mese alla Conferenza sul clima delle Nazioni Unite (COP26) in programma a Glasgow, in Scozia, dal 31 ottobre al 12 novembre sotto la presidenza britannica di Boris Johnson, dove sono attesi dalle quasi 200 nazioni che hanno sottoscritto gli accordi di Parigi nuovi obiettivi sul taglio delle emissioni di gas serra e un impegno condiviso sulla neutralità carbonica entro metà secolo, come l’UE ha già stabilito. Ogni cinque anni è previsto che i firmatari del Patto di Parigi presentino i loro contributi determinati a livello nazionale (NDC) aggiornati, in altre parole i loro piani d’azione per il clima e le strategie da mettere in atto per incontrare gli obiettivi fissati di volta in volta. Avrebbero dovuto farlo entro il 2020, ma la pandemia ha costretto le Nazioni Unite a posticipare la COP26 al 2021. I nove Paesi del Mediterraneo “esortano tutti i Paesi della COP26 ad aumentare il loro livello di ambizione, attraverso la comunicazione di NDC ambiziosi, e impegnarsi a raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050”.
Insieme alle aspettative generali, la COP26 sarà un momento diplomatico importante anche per l’Italia, partner del Regno Unito nell’organizzarla. A colloquio con gli altri capi di stato e governo europeo, il premier Mario Draghi ha posto l’accento sul ruolo dell’Europa per proteggere i più deboli dai costi sociali della transizione verde. “Nessuno di noi è disposto a ignorare le conseguenze disastrose dei cambiamenti climatici. Siamo determinati ad andare avanti con la transizione, non c’è tempo. Ma massimo impegno a proteggere i più deboli dai costi sociali. Il ruolo dell’Ue è fondamentale”, ha affermato. Non rimanere paralizzati di fronte al cambiamento è lo stesso appello che Bruxelles sta rivolgendo in questi giorni a molti governi europei, spaventati da un aumento dei prezzi dell’energia in Italia e Europa a cui si è assistito dall’ultimo trimestre, in parte connesso ad un aumento dei prezzi dei permessi per emettere anidride carbonica, che le aziende in UE si scambiano attraverso l’Emission trading system (ETS), il cosiddetto mercato del carbonio.
Per l’UE solo una parte (circa 1/5) di questo aumento è da ricondurre alla crescita dei permessi della CO2, il resto deriva dalla mancanza di materie prime nel mercato europeo, come il gas o combustibili derivanti dal petrolio (di cui l’Unione è grande importatore) che nell’ultimo anno hanno assistito ad un aumento dei prezzi anche dovuto alla ripresa dopo mesi di attività ferme dovuto alla pandemia. Nonostante i tentativi di rassicurazione da parte dell’UE, le preoccupazioni nei Paesi aumentano e si chiedono a Bruxelles interventi per mitigare l’effetto della transizione, mentre diventa sempre più incerto il dibattito politico sull’estensione del sistema ETS agli edifici e trasporti, la parte più controversa del pacchetto sul clima ‘Fit for 55’ presentato a luglio.