Bruxelles – Mancanza di coerenza e attività non sostenibili ancora troppo redditizie. Secondo la Corte dei Conti europea nonostante l’impegno e le premesse, l’Unione Europea non fa ancora abbastanza per indirizzare i fondi disponibili verso attività realmente “sostenibili” che possano guidare la transizione ‘verde’ verso una economia a zero emissioni. All’ultima relazione sulla Finanza sostenibile pubblicata oggi (20 settembre), i revisori di Lussemburgo affidano la raccomandazione all’UE di applicare una maggiore coerenza negli interventi e sottolineano l’urgenza di completare il quadro della tassonomia verde, quel sistema di classificazione degli investimenti che possono sostenere la transizione avviato ma ancora incompleto.
“Gli eventi climatici di questa estate rendono ancora più chiaro l’urgenza non solo di mitigare gli effetti del cambiamento climatico ma anche di adattarvici”, ha ricordato questa mattina Eva Lindström, il Membro della Corte dei conti europea responsabile della relazione, in un briefing virtuale con la stampa. Per la sfida climatica servono investimenti e ne servono tanti: per raggiungere gli obiettivi climatici al 2050 (zero nuove emissioni nette) le stime parlano di almeno un trilione (mille miliardi) di euro all’anno fino al 2050, per investire in nuove tecnologie nei settori dell’energia, dei trasporti, dell’edilizia, dell’industria, ma anche dell’agricoltura e delle infrastrutture. E le stime – sottolinea Lindström – non tengono conto del costo di adattamento ai cambiamenti climatici.
Nel complesso, il sostegno finanziario dell’UE potrebbe arrivare a 200 miliardi di euro all’anno, tra 2021 e 2027, tutto il resto deve arrivare da una politica di investimenti sia pubblici che privati connessi all’azione per il clima e alla sostenibilità. Dal 2016 Bruxelles lavora a una politica sulla Finanza sostenibile, per aiutare gli investitori a individuare le opportunità di investimento e migliorare la trasparenza di questi investimenti. Ma non mancano le criticità: secondo la Corte di Lussemburgo quelle maggiori evidenziate riguardano l’assenza di una azione specifica per tenere conto degli effetti negativi sul piano ambientale e sociale delle attività non sostenibili – ad esempio aumentando il prezzo delle emissioni di gas serra – e che vi è ancora una mancanza generale di trasparenza e chiarezza su cosa sia sostenibile e cosa no, con la conseguenza che ancora troppi fondi finiscono in attività da considerare “non sostenibili”.
“Esistono troppe interpretazioni diverse sulla sostenibilità e questo crea un vero ostacolo nel cambiare l’atteggiamento degli investitori”, afferma la Corte, secondo cui l’assenza di un quadro comune alimenta l’ambientalismo di facciata, altrimenti detto “greenwashing”, di molte aziende che spacciano per sostenibile ciò che non lo è perché mancano criteri scientifici per definirlo.
A questo deve servire il sistema di classificazione della Tassonomia, che però sta scontando un enorme ritardo a causa delle pressioni delle lobby europee sulla Commissione: ad oggi, ancora non si sa se i progetti che riguardano il gas e l’energia nucleare finiranno o meno nella definizione di investimenti sostenibili. Ad aprile l’Esecutivo ha presentato la prima parte della Tassonomia, assicurando l’adozione di un nuovo atto delegato più tardi nel 2021 sull’agricoltura e su alcuni settori energetici non ancora inclusi (e più controversi), come il gas e nucleare.
La Corte teme che – classificando come sostenibili progetti come centrali elettriche a gas, senza imporre loro di azzerare le emissioni nette entro il 2050 – la tassonomia dell’UE possa non essere efficace come nell’idea originaria. Nelle sue raccomandazioni spinge l’UE ad accelerare e completare il sistema comune di classificazione delle attività sostenibili (la tassonomia dell’UE), tenendo conto solo di criteri scientifici.
Criteri rigorosi andrebbero utilizzati anche per monitorare meglio come il bilancio dell’UE contribuisce in dettaglio al raggiungimento degli obiettivi climatici, finora i criteri applicati “non sono così stringenti e scientificamente fondati come quelli sviluppati per la tassonomia dell’UE”, scrivono i revisori di Lussemburgo. La Corte raccomanda perciò di applicare uniformemente a tutto il bilancio dell’UE – e ai fondi del Recovery Fund – il principio del “non arrecare un danno significativo”, il principio che è alla base dei criteri della tassonomia. Infine, denunciano la mancanza di chiarezza su quali investimenti siano necessari per la transizione, ponendo ulteriori ostacoli agli investitori che invece hanno interesse a investirci.