Bruxelles – La strada è tracciata, ma mancano spunti significativi per dare un’accelerata al processo di digitalizzazione della società e dell’economia europea. Il discorso sullo Stato dell’Unione della presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, ha riservato molto spazio al tema della transizione digitale, ma se si vanno ad analizzare i contenuti, non c’è quasi nulla che rappresenti una novità assoluta, considerando anche la recente pubblicazione del rapporto strategico verso il 2050.
Le prime parole di von der Leyen a riguardo sono sembrate tutto sommato piatte (“per la ripresa economica, il Mercato Unico digitale è la forza trainante, che deve assicurare competitività e buoni posti di lavoro”), con la presidente della Commissione che ha cercato di rivendicare i successi del suo gabinetto, dalle proposte sui mercati e i servizi digitali al quadro normativo sull’intelligenza artificiale. Niente di cui non si stia già parlando a Bruxelles da quasi un anno e che dovrebbe ormai essere assodato come qualcosa di inevitabile per stare al passo con i tempi, non una medaglia da appuntare al petto.
Discorso simile si può fare sul Next Generation EU e l’obiettivo del 20 per cento da destinare alla transizione digitale: “Lo riusciremo addirittura a superare e questo indica l’importanza degli investimenti nella sovranità tecnologica europea”, ha spiegato von der Leyen. Non stupisce nessuno il fatto che ora sia necessario concentrarsi su “investimenti sulla fibra e il 5G, ma anche sulle competenze digitali“.
Ma il cuore del capitolo delle nuove tecnologie lo ha occupato il tema dei semiconduttori, “microchip che fanno funzionare tutti i dispositivi tecnologici e senza dei quali non ci sarebbe nessuno sviluppo digitale”. Il problema è noto: “Mentre parliamo, ci sono intere linee di produzione che stanno funzionando a velocità ridotta, perché c’è scarsità di semiconduttori” e, nonostante la domanda globale sia esplosa, “si è ridotta la percentuale europea rispetto all’intera catena del valore“, dalla capacità di progettazione a quella di produzione. “Al momento dipendiamo dai chip prodotti in Asia”, ha aggiunto von der Leyen, avvertendo che “in gioco non c’è solo la nostra competitività, ma anche la nostra sovranità tecnologica“.
È per questo motivo che la Commissione UE presenterà “un nuovo Atto europeo dei microchip“, sulla scia dell’Alleanza europea dei semiconduttori: “Dovremo essere in grado di collegare la nostra ricerca, la capacità di progettazione e di collaudo, coordinando gli investimenti nazionali ed europei lungo tutta la catena del valore”, ha sottolineato la presidente dell’esecutivo comunitario. L’obiettivo è quello di “creare un ecosistema europeo di punta che includa la produzione dei chip, l’approvvigionamento e lo sviluppo di nuovi mercati per la produzione di una tecnologia europea moderna”. Anticipando possibili critiche di irrealizzabilità, von der Leyen ha fatto riferimento al sistema di posizionamento e navigazione satellitare civile Galileo: “Era stata detta la stessa cosa 20 anni e ora guardate dove siamo arrivati: i satelliti europei forniscono sistemi di navigazione a oltre due miliardi di smartphone a livello mondiale”. L’UE deve “fare scelte coraggiose” e ora “tutte le nostre forze devono essere dirette sui semiconduttori”.
C’è spazio anche per la questione delle “enormi cicatrici lasciate dalla pandemia COVID-19 nella nostra economia sociale e di mercato”. In altre parole, le condizioni dei lavoratori delle piattaforme digitali, su cui proprio l’Eurocamera ha votato oggi (mercoledì 15 settembre) una risoluzione per chiedere più diritti e tutele. “Abbiamo tutti percepito quanto dipendiamo da questi lavoratori, che però percepiscono uno stipendio inferiore e godono di condizioni di sicurezza quasi inesistenti”. Nessun riferimento esplicito alla proposta di quadro normativo entro la fine dell’anno – come anticipato lunedì in plenaria dal commissario per il Lavoro e i diritti sociali, Nicolas Schmit – ma solo un accenno alla “creazione del pilastro europeo dei diritti sociali”, che garantisca “posti di lavoro dignitosi, servizi sanitari migliori e un buon equilibrio di vita”.
Un ultima battuta sulla tassa minima globale, che ha fatto slittare a data da definirsi la proposta della Commissione sulla tassa digitale europea. “L’equità sociale è anche una questione di equità fiscale”, ha rivendicato la capa dell’esecutivo UE, perché “se nel Mercato Unico le aziende realizzano profitti, è anche grazie alla qualità delle nostre infrastrutture, dei nostri servizi sociali e dei nostri sistemi di istruzione”. Il minimo allora è che “paghino il loro giusto contributo”, ma in primis a livello globale: “Faremo tutto quanto in nostro potere per far siglare lo storico accordo mondiale sull’aliquota minima di imposta“, ha concluso von der Leyen. Quali siano le prospettive europee, in caso l’accordo non si realizzi o se i tempi slitteranno eccessivamente, non è dato sapere. Qualche indicazione più precisa o uno slancio in avanti, in questo discorso sullo Stato dell’Unione, sarebbe stato apprezzato.