Bruxelles – Con la presa di potere dei talebani in Afghanistan, il tema caldo sul tavolo dell’Europa è tornato a essere la gestione della politica migratoria. Mentre si attende da quasi un anno un’intesa tra i Ventisette sul pacchetto di proposte del gabinetto von der Leyen, uno dopo l’altro i Paesi membri UE stanno sigillando le proprie frontiere per evitare di dover gestire a breve una crisi migratoria sul proprio territorio nazionale.
Come se non bastasse, a confermare l’incapacità dell’Europa di affrontare una questione tutt’altro che nuova è stata una nuova bocciatura da parte della Corte dei Conti dell’UE, che ha denunciato “inefficienze nella cooperazione” con i Paesi terzi per il rimpatrio dei migranti irregolari negli ultimi 5 anni. Secondo la relazione speciale pubblicata oggi (lunedì 13 settembre), l’attuale cooperazione con i partner extra-UE “non è riuscita a garantire il rimpatrio dei migranti in situazione irregolare” presenti sul territorio comunitario. Si tratta di tutte quelle persone che sono entrate in un Paese membro UE senza un regolare controllo alla frontiera, oppure che sono arrivate regolarmente ma a cui è scaduto il visto o il permesso di soggiorno.
“Ci attendiamo che il nostro audit contribuisca al dibattito sul nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo, perché riammissioni ben gestite sono parte essenziale di una politica complessiva sulla migrazione”, ha commentato Leo Brincat, responsabile della relazione. L’attuale sistema di rimpatri presenta “gravi inefficienze”, che determinano un effetto contrario a quello auspicato: “Incoraggiano, anziché scoraggiare, l’immigrazione illegale”, ha concluso il membro della Corte.
Le criticità maggiori riguardano il fatto che nel periodo 2015-2020 i progressi compiuti nello stipulare accordi di riammissione sono stati “soltanto modesti”, scrive la Corte. Ma non solo. La relazione sottolinea anche che le azioni dell’Unione Europea per assicurare il rispetto degli obblighi di riammissione da parte dei Paesi extra-UE “non sono state sufficientemente efficaci”. Tra gli strumenti a disposizione, gli unici “risultati tangibili” sono stati osservati solo per la politica UE dei visti, “le cui disposizioni rivedute possono rivelarsi utili per incoraggiare i Paesi non-UE a cooperare”, è stato il commento dei relatori della Corte.
Si stima che, a partire dal 2008, ogni anno circa mezzo milione di cittadini non-comunitari abbia ricevuto un ordine di rimpatrio, ma che meno di uno su cinque è effettivamente ritornato nel proprio Paese di provenienza. Dal momento in cui una delle cause che determinano il basso numero di rimpatri è la difficoltà a cooperare con i Paesi di origine, l’Unione Europea ha concluso 18 accordi di riammissione (tra cui anche la Bielorussia, nonostante da qualche mese si sia acceso uno scontro tra Bruxelles e il regime di Alexander Lukashenko a riguardo), ha formalmente aperto negoziati con altri sei Paesi (Algeria, Tunisia, Marocco, Giordania, Cina e Nigeria) e ha attivato sei meccanismi di riammissione (con Afghanistan, Bangladesh, Guinea, Costa d’Avorio, Etiopia e Gambia).
Nonostante ciò, la Corte ha rilevato che “i negoziati degli accordi di riammissione dell’UE si bloccano spesso su alcuni persistenti punti controversi”, come la clausola sui cittadini di Paesi terzi: si tratta della richiesta di riammissione da parte dei Ventisette di persone che non hanno la cittadinanza né dell’una né dell’altra parte (compresi gli apolidi), ma che sono transitate sul territorio del Paese con cui viene siglato l’accordo. Al contrario, “i negoziati di riammissione giuridicamente non vincolanti hanno avuto maggiore successo, soprattutto grazie a contenuti flessibili e adattabili alle singole situazioni”, si legge nella relazione.s
Un’altra debolezza evidenziata è la mancanza di sinergie all’interno della stessa Unione, che “non parla sempre con una sola voce”, fa notare la Corte, mentre “la Commissione Europea non si è sempre associata agli Stati membri per facilitare il processo negoziale”. Ecco perché alcuni Paesi terzi “ritengono che un accordo di riammissione non offra alcun valore aggiunto rispetto alla cooperazione bilaterale“, aggiunge la relazione. Per quanto riguarda il sostegno fornito da Frontex (Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera), la Corte rimprovera il fatto che “non se ne conosce ancora il reale impatto, date le notevoli carenze relative alla completezza dei dati” sui rimpatri e la cooperazione sul fronte delle riammissioni di migranti irregolari.