Bruxelles – Surriscaldamento globale, perdita di biodiversità, degrado ambientale e salute pubblica. Il cambiamento climatico e tutte le altre sfide ambientali ad esso legate rappresentano per l’Unione Europea dei prossimi decenni la sfida più difficile da affrontare e superare, e che andrà ad incidere sulla capacità d’azione dell’UE. Illustrando le sue priorità strategiche a lungo termine per il 2050, la Commissione ha adottato oggi (8 settembre) la sua seconda relazione annuale di prospettiva strategica: “La capacità e la libertà di azione dell’UE”, analizzando quattro tendenze globali che avranno un forte impatto sul vecchio Continente e identificando dieci aree di intervento per rafforzare l’autonomia strategica aperta e consolidare la sua leadership globale verso il 2050.
Autonomia strategica che deve passare anche attraverso un miglioramento della sicurezza energetica e una riduzione della dipendenza da paesi terzi, che la rende più soggetta e vulnerabile ai cambiamenti sullo scenario mondiale. Secondo le prospettive al lungo termine illustrate dalla comunicazione, raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 – con zero emissioni nuove nette – potrebbe aiutare l’UE a ridurre la sua dipendenza energetica dal 60 per cento circa di oggi al 15 per cento.
E’ noto quanto l’UE sia fortemente dipendente a livello energetico da Paesi terzi, come la Russia. Secondo i dati Eurostat, nel 2018 la produzione di energia primaria nell’UE era inferiore del 9,2 rispetto a quella di dieci anni prima, con Mosca come il principale fornitore di gas naturale, petrolio greggio e carbon fossile per l’UE (circa il 26 per cento delle importazioni di petrolio e il 40 per cento delle importazioni di gas verso l’UE).
Se si parla di combustibili fossili la dipendenza energetica dell’Unione è indiscussa, ma la rivoluzione verde promossa con il Green Deal impone un cambiamento nel mix energetico europeo in favore delle energie verdi e rinnovabili, dove l’UE fa meglio in termini di produzione primaria. La più grande quantità di energia prodotta nella UE nel 2018 era proveniente da energia rinnovabile, più di un terzo (34,2 per cento) della produzione totale dell’UE. Segue il nucleare (30,8 per cento) su spinta della Francia ma la quota dei combustibili fossili solidi (18,3 per cento, principalmente carbone) era pari a poco meno di un quinto e la quota del gas naturale era quasi un decimo (9,3 per cento).
Dipendenza energetica significa anche dipendenza geostrategica. Se ne riparla diffusamente oggi perché proprio Mosca ha da poco completato i lavori di costruzione del gasdotto Nord Stream 2 che attraverserà il Mar Baltico per assicurare alla Germania (e all’UE) il gas naturale (metano) che serve nelle case di tutti e che renderà la Russia ancora di più un partner irrinunciabile per l’UE. Per questo il tema dell’autosufficienza energetica si lega alla necessità di sviluppare un’autonomia strategica dell’UE, non solo sul versante militare ma in tutti gli ambiti in cui è possibile ottenere una propria autonomia.
Tra le quattro “tendenze globali” al primo posto l’UE colloca i rischi umani e ambientali legati ai cambiamenti climatici: il documento parla di un riscaldamento globale che arriverà ai 2℃ entro la metà del secolo e stima entro il 2050 che 200 milioni di persone su base annua avranno bisogno di assistenza umanitaria, in parte a causa di possibili disastri ambientali (vedi le inondazioni in Europa occidentale di questa estate). “Lo stress climatico” metterà alla prova i gruppi vulnerabili e contribuirà a guidare lo spostamento e la migrazione della popolazione, “la proliferazione di conflitti e possibili violazioni dei diritti umani fondamentali”.
Energia pulita (decarbonizzata e non dipendente dai combustibili fossi) e accessibile per tutti per la Commissione è la chiave per affrontare le sfide e climatiche dei prossimi decenni, con l’obiettivo di aumentare il ricorso alle energie alternative e diversificare rapidamente l’approvvigionamento energetico dell’UE. Nella comunicazione mancano proposte pratiche, ma si fa cenno a un generico sviluppo di infrastrutture energetiche, reti intelligenti e nuove tecnologie e soluzioni a bassa emissione di carbonio e rispettose dell’ambiente nell’UE.
Un occhio di riguardo anche per la dimensione globale che l’UE si trova ad affrontare, pronta a mettersi alla guida di una necessaria coalizione globale sull’azione climatica e ambientale perché, come spesso ricorda, il Continente rappresenta solo l’8 per cento delle delle emissioni globali di gas serra, per cui l’ambiziosa agenda verde interna dell’UE deve essere accompagnata da una cooperazione globale altrettanto ambiziosa. Bruxelles tenterà di mettere le mani su un accordo globale ambizioso durante la prossima COP26 di Glasgow, la Conferenza sul clima delle Nazioni Unite che si terrà in Scozia dal 31 ottobre al 12 novembre, sotto la guida del premier britannico Boris Johnson.
Nuove tecniche genomiche per la sostenibilità alimentare
Sfida per la sostenibilità non significa solo lotta ai cambiamenti climatici, ma un approccio a tutto tondo su quelli che già oggi sono gli obiettivi principali del Green Deal. Tra le priorità per i prossimi decenni messe in luce dalla crisi sanitaria, la Commissione menziona l’adozione di un quadro legislativo per un sistema alimentare dell’UE sostenibile per garantire che tutti gli alimenti immessi sul mercato unico siano sempre più sostenibili.
Come già ha scritto nella strategia Farm to Fork, prossima al voto in Parlamento europeo, trasformare la catena alimentare può aiutare a ridurre le emissioni di CO2 provenienti dal comparto e l’Esecutivo non rinuncia all’idea che la biotecnologia agraria – che qualcuno definisce semplicemente produzione di nuovi OGM – potrebbe svolgere un ruolo chiave nello sviluppo di modi innovativi e sostenibili per proteggere i raccolti da parassiti, malattie e dagli effetti del cambiamento climatico. Mesi fa ha annunciato di voler lavorare a un nuovo quadro giuridico su queste biotecnologie agrarie, ovvero sulle nuove tecniche genomiche (NGT) che servono ad alterare il genoma di un organismo e che “hanno il potenziale per contribuire a un sistema alimentare più sostenibile come parte degli obiettivi del Green Deal europeo e della strategia Farm to Fork“. Lo ribadisce anche oggi in questa comunicazione sulle prospettive e le sfide dei prossimi decenni, nonostante la proposta sia stata già accolta con freddezza dalla parte più ambientalista dell’Europarlamento e dal mondo ecologista intorno a Bruxelles.