Rischia di diventare una delle peggiori crisi umanitarie dei tempi recenti, dopo quella siriana e della Repubblica centrafricana, e se non si fermano le violenze e una guerra civile già in atto si rischia una destabilizzazione dell’intera regione. La nuova polveriera è quella del Sudan del Sud, Paese sorto il 9 luglio 2011 dopo la separazione dal Sudan e già alle prese con una disastrosa guerra interna. L’Unione europea stima in 4,9 milioni le persone bisognose di assistenze umanitaria. Un numero impressionante, se si considera che il Paese ha in totale 12,6 milioni di abitanti. Gli aiuti umanitari di cui avrebbero bisogno i sudanesi del sud sono principalmente cibo e acqua, e il rischio è che a breve si possa assistere a una carestia dagli esiti drammatici.
“Praticamente un terzo della popolazione è a rischio sicurezza alimentare”, spiega Markus Cornaro, vice direttore generale del direttorato generale per la Cooperazione, lo sviluppo e gli aiuti umanitari della Commissione europea. “Ancora non possiamo parlare di carestia, ma rischiamo di doverne parlare nel corso della seconda metà dell’anno”, rileva Jean-Louis de Brouwer, direttore ufficio Operazioni umanitarie e protezione civile della direzione generale per la Cooperazione internazionale della Commissione europea.
La crisi risale alla metà dello scorso dicembre, quando il presidente del Sudan del Sud, Salva Kiir, ha accusto il capo dell’opposizione Riek Machar di ordire un colpo di stato. Machar per tutta risposta ha accusato il presidente di voler epurare tutti i suoi rivali e i suoi oppositori, e in breve la situazione è sfuggita di mano. A dicembre sono scoppiati combattimenti nella capitale Juba, e da allora i conflitti bellici si sono estesi in altre province del paese, soprattutto Unity, Jonglei e Upper Nile, dove si trovano le città strategicamente importanti (Bor, Bentiu, Malakal) e gli impianti petroliferi. “Siamo già in guerra civile”, denuncia Alexander Rondos, rappresentante speciale dell’Ue per il Corno d’Africa. “Il problema è capire quanto si estenderà e quanto durerà”.
Nel Paese regna una fragile tregua, siglata lo scorso venerdì tra Kiir e Machar, che si sono impegnati a sedersi attorno a un tavolo e cercare un accordo che ponga fina a una guerra che ha già prodotto oltre un milione di sfollati e oltre 300 mila rifugiati. Prima della guerra l’Ue ha stanziato 265 milioni di euro di aiuti in progetti di sviluppo (due programmi da 85 e 185 milioni) in settori quali agricoltura, educazione, sanità e giustizia. Dallo scoppio della guerra altri 45 milioni di euro sono stati dati tramite il Fondo europeo per lo sviluppo.
Ora, di concerto con Nazioni Unite e Unione Africana, l’Unione europea cerca una soluzione al problema. “La vera priorità del momento è mitigare gli effetti della crisi”, rileva ancora il rappresentante speciale di Catherine Ashton. Si lavora per avere una missione di controllo (dovrebbero contribuire certamente Kenya ed Etiopia), l’apertura di corridoi umanitari e garantire l’assistenza della popolazione. Nel caso i due contendenti non dovessero sedersi attorno al tavolo o violare i patti sono pronte sanzioni, nella speranza che sortiscano effetti. “La crisi nel Sudan del Sud – avverte Rondos – rischia di colpire una regione più ampia già affetta da problemi di stabilità”, e composta da Sudan, Repubblica Centrafricana, repubblica democratica del Congo.