Questa volta è stato un dibattito televisivo tutto al maschile quello che si è svolto a Firenze tra i quattro candidati alla presidenza della Commissione europea. In questa occasione Ska Keller è stata sostituita dal francese José Bové a rappresentare i Verdi (che hanno due candidati leader, uno per ogni genere). Sugli altri tre posti del podio invece sempre il lussemburghese Jean-Claude Juncker per i popolari, il tedesco Martin Schulz per i socialisti e il belga Guy Verhofstadt per i liberali. E ancora una volta purtroppo il greco Alexis Tsipras, rappresentante della Sinistra Unita, ha preferito in maniera piuttosto miope declinare l’ennesimo invito. E proprio in Italia dove la visibilità sui media della lista che lo sostiene è piuttosto ridotta. Dovremo aspettare il 15 maggio per poter vedere un confronto anche con lui.
In diretta su RaiNews 24, all’interno dell’iniziativa “The state of the Union” organizzata dall’European university institute, i candidati si sono confrontati sulla loro visione dell’Europa e delle istituzioni europee. Il primo punto su cui si sono trovati tutti d’accordo è che comunque finiscano le elezioni dovrà essere uno di loro a sedere sulla poltrona principale del Berlaymont. “Non possiamo accettare che non sia uno di noi. Altrimenti vorrebbe dire che possiamo anche chiudere le porte del Parlamento perché significherebbe che la democrazia europea è finita”, ha attaccato un sempre brillante Verhofstadt. Secondo il leader dei liberali il presidente dovrà essere scelto tra chi “riunirà sul proprio nome la maggioranza dei voti dell’Aula”. Un punto su cui Juncker non è stato d’accordo. Il popolare ha ribadito quello che dice da tempo, ovvero che il partito con la maggioranza relativa (ovvero il suo a detta dei sondaggi) dovrà avere il Presidente. “In Germania ad esempio, anche se avesse avuto una percentuale di voti più bassa, nessuno avrebbe potuto dire che la Merkel non doveva essere la candidata designata. È questa la democrazia”, ha affermato. Schulz sul punto ha preferito non essere tanto esplicito, non sostenendo con forza nessuna delle due tesi, ma restando vago, forse aspetta i risultati delle elezioni per capire quale ipotesi gli sia più conveniente.
Quello su cui non c’è stato consenso è stato invece sul come dovrà comportarsi il nuovo Presidente della Commissione, con Juncker che è apparso un difensore dello status quo e di un esecutivo che rappresenti un organo di mediazione e gli altri tre che lo hanno attaccato (e con lui Barroso) e si sono dichiarati a favore di un esecutivo più intraprendente. “La Commissione europea è l’unico organo istituzionale che ha il potere di iniziativa – ha ricordato Verhofstadt – e lo deve usare”. “Se sarò eletto con una maggioranza qualificata avrò il potere di scegliere la Commissione che voglio, e sarà politica. È questo l’unico modo per democratizzare l’Europa e sono sicuro che gli Stati mi dovranno assecondare” ha affermato Schulz, mostrando però poca convinzione. “Anche Barroso era un Presidente politico, ma non prendeva l’iniziativa, non aveva la capacità di sfidare i Paesi membri e proponeva soltanto il minimo che avrebbero accettato”, gli ha fatto eco Bové. Con calma invece Juncker ha affermato che un presidente della Commissione “non deve essere partigiano ma come suggeriva Jacques Delors deve seguire l’interesse generale”. Soltanto a giugno sapremo quale delle due linee prevarrà, e se le porte del Parlamento potranno restare ancora aperte.
Guarda il video del dibattito (inizia al minuto 02:19:42)