Bruxelles – Oltre tre anni di tempo per dialogare con i partner commerciali dell’UE e convincerli a dare un proprio prezzo alle emissioni di CO2. E’ quello che intende fare la Commissione europea per convincere i Paesi grandi emettitori che il principio del meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere lanciato il 14 luglio nel quadro del pacchetto legislativo Fit for 55 “non è proteggere la nostra industria, ma proteggere l’integrità degli obiettivi ambientali e prevenire l’utilizzo del carbonio”. Ci tiene a ribadirlo la presidente Ursula von der Leyen a poco meno di una settimana dalla presentazione del rivoluzionario pacchetto europeo sul clima, in una conversazione organizzata dall’EUI School of Transnational Governance.
Contro chi accusa Bruxelles di aver introdotto una misura protezionistica, come l’Australia o gli Stati Uniti che si apprestano a fare altrettanto, l’UE difende il principio di far pagare le emissioni di carbonio, come una soluzione per ridurle. La tassa sulle emissioni di CO2 importate, nei piani di Bruxelles, non entrerà in funzione prima del 2026 e sarà applicata in modo graduale. Gli importatori entro il 31 maggio di ogni anno dovranno dichiarare la quantità di beni e le emissioni implicite in tali beni importati nell’UE nell’anno precedente e pagare lo stesso prezzo che pagano le imprese nel Continente. “Preferiremmo di gran lunga che i nostri partner stabilissero un prezzo sul carbonio e mantenessero le loro entrate”, ha spiegato von der Leyen citando la Cina come esempio.
Pechino ha di recente avviato il proprio mercato di scambio delle quote di emissioni perché, secondo la tedesca, ha già capito che un sistema simile all’Ets europeo “è molto più efficiente in termini di costi e stimola l’innovazione. Se avviano un sistema di scambio di quote di emissione e mettono un prezzo sul carbonio, possono mantenere le entrate per il prezzo del carbonio nel loro paese invece di pagare un prezzo di adeguamento alle frontiere del carbonio quando i prodotti ad alta intensità di carbonio o che hanno un’impronta di carbonio vengono in Europa”. Una misura climatica, in sostanza, per convincere gli altri Paesi ad avere norme altrettanto stringenti sulla riduzione delle emissioni. “Questo è il principio generale”.
La dimensione globale del pacchetto Fit for 55 si fonda sulla consapevolezza che l’Europa rappresenta solo l’8 per cento delle emissioni globali di CO2 “ma siamo responsabili di una quota maggiore di emissioni cumulative quindi questo significa che abbiamo bisogno e vogliamo lavorare con i nostri partner internazionali”. L’accordo internazionale sul clima siglato a Parigi nel 2015 “è il quadro adatto per questo sforzo globale” e la Conferenza sul clima delle Nazioni Unite che si terrà a Glasgow a novembre di quest’anno sarà l’occasione “per aumentare il nostro impegno collettivo (sul clima) e confido che i nostri partner vedranno il nostro piano climatico come fonte di ispirazione“, sostiene la presidente.
A muovere i piani del Berlaymont è il principio secondo cui “il costo della lotta al cambiamento climatico è alto, ma il costo dell’inazione lo è ancora di più”. L’importante, però, è fare in modo che a pagarne non sia solo la fascia più vulnerabile della popolazione europea. Per questo la Commissione è fiera di aver proposto un Fondo sociale climatico da distribuire tra gli Stati membri (all’Italia spetterebbero 7,8 miliardi di euro in sette anni, 2025-2032) con cui per la prima volta l’UE spera di affrontare anche il problema della povertà energetica, che affligge non meno di 35 milioni di europei. “Dobbiamo garantire che le famiglie vulnerabili a basso e medio reddito sentano il beneficio della transizione”.