Roma – “Non è una buona notizia”, commenta il vicesegretario del Partito democratico Peppe Provenzano, guardando alla guerra in atto nel Movimento 5 Stelle. Per un problema di democrazia, prima ancora che di alleanze, per una forza politica che sta soffrendo per le pressioni del fondatore, orfana di un assetto organizzativo e decisionale.
Il cuore dello scontro tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte risiede nella nuova dimensione del Movimento disegnata dal nuovo statuto proposto dall’ex premier. Al di là delle singole soluzioni sul funzionamento del gruppo dirigente e il ruolo del leader, è la figura del Garante che viene ridimensionata e su cui si sta consumando la lite. Grillo non accetta nessuna limitazione, vuole restare il vero interprete della linea e avere l’ultima parola, al punto di poter ribaltare le decisioni come è già accaduto in passato disconoscendo le scelte prese dagli attivisti con il voto online.
Su un piano sfalsato della sfida anche personale tra i due, si è riaccesa la disputa tra “ortodossi e governisti”, che aveva già causato molte uscite con la nascita del Conte 2 e in primavera con l’esecutivo guidato da Draghi. Ora da una prima mappa, seppure ancora sfumata, ministri e sottosegretari sembrano quasi tutti schierati con l’ex premier e con loro la maggioranza dei due gruppi parlamentari di Camera e Senato. Pattuglia che è bene ricordare dall’exploit delle elezioni del 2018, tra uscite ed espulsioni, ha subìto l’emorragia di un centinaio tra senatori e deputati. Analogamente anche che se in forma ridotta gli abbandoni del Parlamento europeo, dove l’impossibilità di trovare una famiglia che potesse accoglierli tutti ha provocato la scomposizione dei 14 eletti.
Seppure sia ancora in corso il lavoro dei pontieri con i big in prima linea come Luigi Di Maio e Roberto Fico, l’evento più traumatico di una scissione non viene esclusa da nessuno. E’ però improbabile che questa provochi anche contraccolpi di maggioranza, mettendo a rischio il governo, considerato che i numeri sono dalla parte di Conte e dei ministri dell’esecutivo in carica, come Stefano Patuanelli e Federico D’Incà.
Governo al riparo ma non da un rimpasto che non sarebbe indolore perché potrebbe cambiarne il carattere di unità nazionale. Timori che si trasferiscono subito sui “vicini del PD” che già lamentavano uno spostamento a destra e che con l’indebolimento del Movimento 5 Stelle troverebbe un terreno ancora più favorevole. Per i Dem, il pericolo di un segno Lega-Forza Italia più marcato, si potrebbe riflettere anche nella partita del Quirinale che con l’inizio del semestre bianco si presenta già con un quadro molto complesso. Con il M5S fragile, il centrosinistra corre il rischio non solo di non dare le carte ma di non essere neppure al tavolo da gioco.
Numeri che preoccupano ma anche i temi e la navigazione del governo Draghi, e il primo pensiero va alla riforma della giustizia che sta prendendo forma questi giorni ed è uno dei cardini del PNRR che sta iniziando a camminare. Proposta già in partenza con visioni divergenti tra le forze politiche e se il primo partito dovesse affrontarla in ordine sparso non sarebbe certo un buon viatico.