Bruxelles – Prima i timori, poi le minacce e alla fine i fatti. Per rispondere all’escalation di tensione con l’Unione Europea, il regime del presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, sta puntando tutto sullo strumento che può mettere più in crisi l’unità dei Ventisette: l’immigrazione irregolare attraverso una nuova rotta, bielorussa. Secondo i dati del servizio di guardia di frontiera della Lituania, nei primi sei mesi del 2020 sono stati 672 i migranti che hanno cercato di entrare illegalmente nel Paese dalla frontiera con la Bielorussia. Si tratta di più del doppio degli arrivi dei quattro anni precedenti messi insieme (2017-2020).
Già a margine dell’ultimo vertice dei leader UE (24-25 giugno) Lituania e Lettonia avevano avvertito gli altri membri del Consiglio Europeo che la Bielorussia era pronta a “inondare l’Unione” di migranti. Il primo ministro lettone, Krisjanis Karins, si era detto “estremamente preoccupato” della situazione, mentre il presidente lituano, Gitanas Nauseda, aveva fornito alcune stime: “Secondo le informazioni in mio possesso, da Minsk ci sono almeno 1.500 iracheni pronti a varcare i confini dell’UE“.
Informazioni che, a una settimana di distanza, non sembrano per nulla inverosimili. Dei 672 migranti che da gennaio hanno provato a entrare in modo irregolare in Lituania, due su tre provenivano dall’Iraq (428 persone), mentre altri 96 arrivavano da Iran e Siria. Un segnale che, con il benestare del regime di Lukashenko, si stanno mettendo in moto delle evoluzioni nella rotta bielorussa con destinazione i Paesi dell’UE. Basti solo considerare che lo scorso anno la guardia di frontiera lituana registrava 81 tentativi di ingresso illegale (più di otto volte in meno), 46 nel 2019, 104 nel 2018 e 72 nel 2017.
Per questo motivo, da ieri (giovedì primo luglio) sono iniziate le operazioni di Frontex in Lituania e Lettonia, per sostenere i controlli alla frontiera con la Bielorussia. L’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera sta inviando le proprie squadre nei due Paesi membri, dopo la richiesta di sostegno arrivata a giugno: Vilnius ha accolto ieri i primi sei ufficiali, dei 30 previsti, che pattuglieranno le stazioni di frontiera di Kapčiamiestis e Druskininkai. “Il contributo di ulteriori guardie di frontiera e auto di pattuglia mostra la comune determinazione a proteggere le nostre frontiere esterne”, ha dichiarato il direttore esecutivo di Frontex, Fabrice Leggeri.
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Non sembra un caso che la situazione si sia aggravata nel corso del mese di giugno, quando il flusso di arrivi irregolari lungo la rotta bielorussa in Lituania si è attestato a 412 persone (mentre la Lettonia ha chiesto il supporto di Frontex come “misura precauzionale”). Dopo il dirottamento dell’aereo Ryanair Atene-Vilnius su Minsk per arrestare il giornalista e oppositore, Roman Protasevich, e la sua compagna, Sofia Sapega, l’Unione Europea ha risposto progressivamente con misure sempre più pesanti nei confronti del regime di Lukashenko. No fly zone sulla Bielorussia e chiusura dello spazio aereo europeo ai vettori battenti bandiera rosso-verde, un quarto pacchetto di misure restrittive nei confronti di persone ed entità vicine al presidente e, infine, sanzioni economiche che hanno colpito i settori più rilevanti.
La risposta di Lukashenko, che da quasi un anno sta reprimendo le proteste della società civile contro i risultati del voto del 9 agosto 2020 e per una svolta democratica nel Paese, non si è fatta attendere e il 28 giugno ha sospeso la partecipazione della Bielorussia all’iniziativa del Partenariato orientale dell’UE. Sul tema della migrazione, questa decisione ha un impatto non indifferente: significa che il Paese ha attuato la procedura di sospensione dell’Accordo di riammissione con Bruxelles, che stabilisce obblighi e procedure per i Ventisette e la Bielorussia in materia di riammissione di cittadini il cui soggiorno sul territorio dell’altra parte è irregolare.
Il ricatto di Minsk è stato chiaro per tutti, quando il ministero degli Esteri bielorusso (in una nota mai tradotta in inglese) aveva avvertito di “non poter adempiere ai nostri obblighi, secondo le condizioni delle restrizioni imposte dall’Unione Europea”. In altre parole, “la sospensione forzata dell’Accordo avrà un impatto negativo sull’interazione nel campo della lotta all’immigrazione illegale“. Nei 27 giorni precedenti era però stato facilitato il transito verso la Lituania a un numero di migranti superiore a cinque volte quello registrato in tutto il 2020. La complicità della guardia di frontiera bielorussa è stata messa in luce da un un video diffuso dalla controparte lituana, che mostra le autorità di Minsk cercare di cancellare o nascondere le tracce del passaggio di migranti dal confine.
I am following with concern the influx of migrants on the Belarus-Lithuania border.
Once again someone is unacceptably playing with people's lives.
It's clear that across Europe, be it in the South or East, we need a common asylum and migration system to respond to the crisis.
— Roberta Metsola (@EP_President) July 2, 2021
Da Bruxelles, la prima reazione è arrivata dal presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, che sta seguendo “con preoccupazione” l’afflusso di migranti alla frontiera tra Bielorussia e Lituania: “Ancora una volta qualcuno sta giocando in modo inaccettabile con la vita delle persone“, ha denunciato su Twitter. Ritorna – se mai se ne fosse andata – la necessità di “un sistema comune di asilo e migrazione per rispondere alla crisi“, ha ricordato Sassoli, un’esigenza evidente “in tutta Europa, sia nel sud che nell’est”.
Se ad azione (bielorussa) corrisponderà reazione (europea), le possibili conseguenze di una nuova rotta migratoria bielorussa che ora coinvolge direttamente anche i Paesi UE del nord può rappresentare un momento di confronto alla pari tra tutti gli Stati membri sul tema della politica comune di asilo e migrazione, per arrivare finalmente a una condivisione di responsabilità. L’alternativa è dover cedere progressivamente ai ricatti dell’ultimo dittatore d’Europa (sulla pelle di persone innocenti), come già sta succedendo in Turchia e in Libia. Ma questa volta, ancora più vicino al cuore della “fortezza Europa”.