Bruxelles – Con il via libera della Commissione Europea al piano nazionale di ripresa e resilienza dell’Italia, arrivato tre giorni fa (martedì 22 giugno) dalla presidente von der Leyen a Roma, si può iniziare a tirare le somme dei finanziamenti previsti nei diversi campi e fissare gli obiettivi stimabili sul breve/medio periodo. Con un quarto dei fondi stanziati per centrare gli obiettivi di transizione digitale, questo discorso vale anche per il settore dell’istruzione e della ricerca, che rivestirà il 15 per cento della trasformazione digitale del Paese. Si parla di 7,5 miliardi di euro (su 30,9 complessivi) per rafforzare la digitalizzazione del servizio scolastico, dagli asili nido alle università.
Un capitolo strutturale per riformare l’istruzione in Italia, che è stato oggetto di confronto durante lo Smart Event “Recovery Fund e formazione digitale: quali competenze sviluppare per studenti e corpo docente nel quadro di un rafforzamento generale dell’istruzione?”, organizzato oggi (venerdì 25 giugno) dalla redazione di Eunews e moderato dalla giornalista di Radio Radicale, Valeria Manieri. Non solo investimenti economici, ma anche un focus sullo sviluppo di conoscenze e competenze adeguate alla nuova realtà che uscirà dal PNRR italiano.
“Sono importanti le risorse che verranno messe in campo nella scuola 4.0 [3,6 miliardi di euro, ndr] e che permetteranno di sviluppare connessioni ad alta velocità”, ha spiegato Stefano Versari, capo-dipartimento per il Sistema educativo di istruzione e formazione presso il Ministero dell’Istruzione. “Il digitale non è una questione di sostituire carta e penna, ma di integrare il percorso formativo fondamentale del docente“. Si parla di competenze e “nonostante siamo un Paese variegato, non si può dire che ne siamo assolutamente privi”, ha voluto mettere in chiaro Versari. La scuola “è un sistema complesso” e serve più conoscenza sui dati accessibili al pubblico, “in particolare sul valore aggiunto che viene portato da ogni istituto”.
La questione dell’emergenza post-COVID è però evidente e richiede un intervento deciso: “La nuova scuola dovrà essere multiforme e la didattica a distanza di questi mesi non potrà essere permanente”, è stata la precisazione del senatore e presidente della commissione Istruzione del Senato, Riccardo Nencini. “Va ripensata come ritorno in presenza con strumenti tecnologici e lezioni a distanza con più interazione”. Per questo motivo, la commissione Istruzione ha fornito al governo Draghi alcune indicazioni sulla nuova forma della didattica, dal punto di vista dell’insegnamento – “più matematica e informatica e non rinunciare alla storia” – e della formazione dei docenti. C’è poi un punto fondamentale, che coinvolge direttamente la questione dell’uso degli strumenti di base: “Abbiamo indicato alla RAI la necessità di un canale televisivo per tutto ciò che riguarda l’alfabetizzazione digitale“, dal momento in cui il tema delle conoscenze e competenze non riguarda solo i ragazzi, ma tutti i cittadini.
Problemi tipicamente italiani, si potrebbe pensare, ma che in realtà coinvolgono tutti i Paesi membri UE, impegnati in questi mesi a programmare l’utilizzo dei fondi del Recovery Fund. Lo ha confermato l’eurodeputato e vicepresidente della commissione per la Cultura e l’educazione del Parlamento UE, Victor Negrescu, intervenuto per chiarire che “non c’è un singolo Stato virtuoso a cui guardare, come se fosse la Silicon Valley europea, ma ognuno ha le sue caratteristiche, tra aspetti da migliorare e punti di forza da cui trarre esempio”. Questa “è la forza dell’Unione” e bisogna mettere in campo “sinergie e conoscenze attraverso una comune strategia europea sul digitale“. Tuttavia, sul fronte della formazione digitale bisogna considerare anche i “divari da colmare”, che richiedono tempo ed energie. Lo aveva chiesto lo stesso eurodeputato di S&D in qualità di relatore del rapporto sull’istruzione digitale (presentato e approvato lo scorso 25 marzo): “Avevo chiesto che almeno il 10 per cento della transizione digitale nei piani nazionali riguardasse l’aspetto dell’istruzione”, con particolare attenzione sia agli insegnanti, “che devono trasmettere i saperi”, sia ai nativi digitali, “che devono fare il passo successivo e padroneggiare i servizi e le infrastrutture digitali”.
Che tutti i Paesi membri affrontino gli stessi problemi “in modo diverso e mettendo in campo punti di forza differenti”, lo ha confermato anche Suzanne Conze, capa-unità Country analysis in education della Commissione Europea. “Se vogliamo impostare un discorso di digitalizzazione avanzata, dobbiamo aumentare il livello generale di conoscenze di base e diventare una società europea in continuo apprendimento”, è stata l’indicazione. Dagli insegnanti che “sappiano reagire ai cambiamenti dal punto di vista tecnologico”, fino ai ragazzi nati nell’era digitale, di cui “un terzo non hanno sufficienti competenze”, ha confermato Conze: “Essere cresciuti in un contesto digitale non significa necessariamente saperlo padroneggiare” e per questo motivo “c’è bisogno di investire in strumenti da mettere a disposizione delle famiglie”.
Tornando alla situazione specifica in Italia, Antonio Ranieri, capo-dipartimento Learning and employability del Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (CEDEFOP), si è detto fiducioso di assistere a una “ripresa sostenuta, che arriverà in maniera naturale“. Sarà però necessario “cogliere nuove opportunità e sviluppare nuove competenze”, che rispetto ai tempi pre-COVID muteranno “anche per gli stessi effetti del piano di ripresa e resilienza”, ha sottolineato Ranieri. “Cambieranno le carte in tavola del mercato del lavoro” e “come requisito minimo per partecipare serviranno competenze digitali di base“: l’aspetto fondamentale della formazione digitale sarà proprio “trasformare la conoscenza pratica e spontanea in competenze acquisite”.
In chiusura, Valerio Mammone, direttore editoriale di ScuolaZoo, ha portato la sua testimonianza più vicina alle aspettative e alle esigenze degli studenti. “Il tema non è tanto essere pro o contro la didattica a distanza, ma se si riusciranno a sviluppare modelli di insegnamento coinvolgenti su larga scala“, anche grazie alle risorse del PNRR. Se la scuola pubblica “ha dimostrato la sua resilienza e ha riacquisito un ruolo primario”, quello che conta ora è “stimolare i ragazzi a sentirsi parte del processo di apprendimento, anche sul fronte digitale”. Un asset importante per l’Italia potranno essere i percorsi professionalizzanti degli Istituti Tecnici Superiori (ITS), che potranno “finalmente tornare a essere valorizzati, con i frutti che si raccoglieranno in futuro dagli investimenti di oggi”, è la speranza di Mammone e di un Paese intero, all’alba del decennio digitale.
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