Bruxelles – Immigrazione, solidarietà, valori fondamentali, diritti. Tutto riconduce a Viktor Orban, il primo ministro ungherese che si oppone e rimette in discussione qualunque cosa di troppo europeo di spirito ci sia sul tavolo e non. Così il vertice dei capi di Stato e di governo di questa settimana (24 e 25 giugno) sarà più che altro all’insegna delle risposte che si sapranno dare a scelte politiche (e relative provocazioni) del leader ungherese.
La proposta di legge che vieta di parlare di omosessualità fino al compimento dei 18 anni, rendendola di fatto tabù a minori e adolescenti, ha costretto il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, a modificare all’ultimo momento l’agenda dei lavori. “Il tema tema ha creato un polverone mediatico, e Michel ha ritenuto di doverlo inserire per discuterne faccia a faccia”, confidano a Bruxelles.
Non è chiaro chi lo evocherà, probabilmente uno dei tre del Benelux promotori della dichiarazione di censura sottoscritta da diciotto governi, anzi diciassette più uno. A Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo si sono aggiunti Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lettonia, Lituania, Spagna, Svezia, e in un secondo momento anche di Italia, Austria, Cipro e Grecia. Il Portogallo non appone la firma per ragioni istituzionali, in quanto detentore della presidenza di turno, ma fa sapere di approvare iniziativa e documento. Diciassette più uno contro l’Ungheria, dunque.
La cena dei leader rischia dunque di diventare terreno di scontro tra vedute sulla concezione di Europa e dei suoi valori fondanti per tanti inconciliabili. Ma soprattutto il vertice, che dovrebbe produrre poco in termini di risultati, rischia di mostrare la difficoltà di un’Unione disunita e dilaniata.
Per quanto riguarda la Russia, sono state appena prorogate di altri 12 mesi le sanzioni per l’annessione illegale della Crimea, per la Bielorussia non si attendono nuove misure restrittive visto che il pacchetto è fresco di via libera.
Le uniche decisioni di rilievo a cui si guarda sono dunque quelle relative al capitolo migratorio, dove i risultati sono attesi ma che non lasceranno contenti tutti.
E’ l’Italia e il governo di Mario Draghi ad aver voluto riportare la questione sul tavolo. L’obiettivo è ridare dinamicità a un dossier per troppo tempo rimasto nel cassetto. Si va verso un accordo sulla dimensione esterna, con l’impegno a individuare una lista di Paesi terzi “affidabili” con cui lavorare su rimpatri, lotta al traffico di esseri umani, riduzione delle partenze. Un passo avanti, ma difficile da spiegare internamente.
Una buona parte dell’opinione pubblica nazionale vorrebbe accordi su ricollocamenti per le persone che sbarcano in Italia. Non ci sarà, e le pance degli italiani potrebbero brontolare parecchio, anche se, spiegano nella squadra italiana a Bruxelles, “siamo riusciti a dare dinamismo” ad un dossier che mancava da tempo al tavolo dei leader. Draghi rischia il contraccolpo, e dovrà essere bravo a spiegare bene un tema complesso, delicato, sensibile e divisivo. Un tema su cui a fare resistenza per primo è fin dall’inizio proprio lui, Viktor Orban (anche se non da solo, a dire il vero).
“Sulla migrazione faremo il punto della situazione sulle varie rotte – spiega il presidente del Consiglio europeo Charles Michel chiarendo che non ci sarà nulla di sostanzioso sul tema, nella sua lettera di invito ai leader – . Il nostro obiettivo continua a essere quello di prevenire la perdita di vite umane e ridurre la pressione sui confini dell’UE”. L’unico punto di un qualche peso, e sul quale da sempre non c’è contrasto nell’Unione, sarà poi il concentrasi “sulla dimensione esterna, con l’obiettivo di rafforzare la nostra cooperazione con i paesi di origine e di transito. Dovremmo imporre un’azione che produca risultati rapidamente”. Stop.
Il primo ministro di Budapest è colui che ha preteso di pagare piuttosto che farsi carico di richiedenti asilo. Di migranti e redistribuzione non vuole sentire parlare, si è contraddistinto per il muro-anti migranti lungo la Serbia, ha ingaggiato con il governo italiano un confronto muscolare sul tema, ed è lui tra i principali artefici dell’insuccesso italiano nelle politiche migratorie e di quanti vorrebbero una riforma delle regole comuni in materia di asilo. E’ al tempo stesso la giustificazione migliore per chi quelle regole non vuole cambiarle. Il nord in questo ha in Orban un alleato prezioso per non procedere oltre.
Sul tavolo la questione delle quote di migranti, dei meccanismi di ripartizione, la solidarietà, tutto questo non ci sarà. Si parte da dove c’è accordo. C’è accordo a non aiutare i Paesi di primo arrivo. A Draghi la responsabilità di spiegarlo, come si deve, agli italiani. All’Europa il compito di uscire dall’angolo in cui riesce a metterla Orban, ormai da troppo tempo.