Bruxelles – “Un giorno ci sarà una Norimberga per le morti nel Mediterraneo. Ma, a differenza del passato, noi oggi sappiamo già tutto”. Sono taglienti le parole di Pietro Bartolo, eurodeputato del gruppo S&D e medico lampedusano, e indicano chiaramente che il re è nudo. L’Unione Europea, gli Stati membri, le istituzioni nazionali e comunitarie da tempo sono coscienti del fatto che ogni anno migliaia di persone perdono la vita nei naufragi lungo le rotte mediterranee, eppure “a ogni nuova tragedia fa seguito questo ridicolo rito del dolore, con noi che stiamo qui a parlare ma senza fare nulla”.
Dopo l’ultimo naufragio al largo delle coste libiche dello scorso 21 aprile, salgono a circa 700 le vittime dall’inizio del 2021, oltre 500 nel Mediterraneo centrale. Un nuovo picco di decessi che ha spinto il Parlamento Europeo a discutere in sessione plenaria delle operazioni di ricerca e soccorso in mare, alla presenza di Ylva Johansson, commissaria europea per gli Affari interni, e di Augusto Santos Silva, ministro degli Esteri portoghese e presidente di turno del Consiglio dell’UE. “Tutte le morti in mare sono una tragedia”, ha commentato il ministro portoghese, “il sogno europeo si sta trasformando in un incubo“, gli ha fatto eco la commissaria. Ma, più di come migliorare il soccorso in mare, a prendere il sopravvento durante l’ora e mezza di dibattito sono stati gli scontri tra gruppi politici sulle modalità di gestione della crisi migratoria. Con la questione delle frontiere esterne dell’UE ancora una volta protagonista indiscussa del confronto.
Il monito di Commissione e Consiglio
Se per la commissaria Johansson “le tragedie accadono in mare, ma le soluzioni si devono cercare a terra”, è necessario aprire un capitolo sugli sbarchi e sulla solidarietà tra Paesi membri. “In soli due giorni a Lampedusa sono arrivate circa 2.100 persone, ma gli Stati europei devono aiutare l’Italia con i ricollocamenti, come ha fatto l’Irlanda” (il riferimento è alla decisione del governo di Dublino di accogliere dieci richiedenti asilo). Allo stesso tempo, “siamo estremamente preoccupati per la situazione a Ceuta“, dove circa seimila persone hanno superato il confine dell’enclave spagnola in Marocco a piedi o a nuoto. “Abbiamo bisogno del nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo per il dovere morale di salvare vite umane e mostrare solidarietà ai Paesi coinvolti”, ha ribadito con forza la commissaria per gli Affari interni.
Per l’esecutivo UE il punto focale rimane il rafforzamento delle relazioni con i Paesi di origine e transito, “per condividere un piano d’azione contro il traffico di migranti”. Johansson ha riproposto la più classica delle domande – “dobbiamo chiederci come mai tante persone non hanno altre possibilità se non imbarcarsi su un gommone” – per presentare una delle sue priorità, la mobilità verso l’Europa per motivi di formazione e lavoro qualificato: “Come dimostrato dall’intesa con il Consiglio sulla Carta blu, dobbiamo sforzarci per permettere alle persone di talento di arrivare sul nostro continente, mentre investiamo nell’occupazione nei Paesi di provenienza”.
Anche per la presidenza di turno portoghese del Consiglio dell’UE “la soluzione migliore sarebbe un approccio di ampio respiro, con un controllo più efficace dei confini esterni“, ha dichiarato il ministro Santos Silva. Nonostante il punto fermo rimanga il fatto che “la sicurezza delle persone deve prevalere sull’integrità delle frontiere, nessuno può morire in mare”. Allo stesso tempo, “bisogna intervenire fermando e smantellando le reti criminalità organizzata nella tratta di esseri umani” e “fornire contributi ai Paesi di origine e transito attraverso il fondo fiduciario per l’Africa“. Sul piano degli sbarchi e della gestione del flusso migratorio, per il momento però non si può prescindere dai ricollocamenti su base volontaria, dal momento in cui “non abbiamo ancora trovato un accordo sull’approccio comune alla solidarietà obbligatoria”, ha concluso il ministro degli Esteri portoghese.
Lo scontro in Parlamento
Particolarmente duro è stato il dibattito in plenaria, con accuse reciproche tra i gruppi politici della destra e della sinistra sulle responsabilità delle morti e sulle soluzioni proposte per gestire il flusso migratorio. “Erano persone come noi, che però sono affogate dopo essersi imbarcate su gommoni”, ha esordito Jeroen Lenaers (PPE). “Serve una riposta europea insieme ai Paesi terzi, è uno scandalo che dopo quasi dieci anni non ci siamo ancora avvicinati di un passo alla soluzione comune per colpa della mancanza di volontà dei governi nazionali“.
Simona Bonafè (S&D) non solo ha evidenziato che sul nuovo Patto “continuiamo ad assistere alle resistenze da parte di alcuni governi”, ma ha anche invitato la commissaria Johansson a lavorare a “un piano operativo ad hoc per le operazioni di soccorso e salvataggio in mare, accompagnato da impegni precisi sui ricollocamenti in Europa”. Per l’eurodeputata in quota PD, lo scopo è quello di “far prevalere una gestione europea del fenomeno migratorio”. Approccio simile a quello presentato da Laura Ferrara (Movimento 5 Stelle): “Da anni invochiamo inutilmente una posizione comune sulle attività di ricerca e salvataggio, di sbarco e di ricollocamento fra tutti gli Stati membri” ed è per questo che “le corresponsabilità della perdita di vite umane riguardano da vicino le politiche dell’Unione Europea“.
Da Renew Europe si è alzata una voce critica sul Patto proposto dalla Commissione, perché “lascia soli gli Stati di frontiera, sia nei salvataggi sia per il ricollocamento”, ha denunciato l’eurodeputato italiano Nicola Danti. “Finché l’unico modo per arrivare in Europa è un barcone guidato da un trafficante, le nostre coscienze ne usciranno sconfitte”, ha avvertito, prima di lasciare la parola al collega Sandro Gozi: “Non c’è solo il dovere morale di salvare vite, ma anche il problema dell’approdo, perché la Libia non può essere considerata un porto sicuro“. Ancora più diretti i gruppi dei Verdi/ALE e della Sinistra. “Questa politica migratoria non definisce che la vita umana è intoccabile e i diritti inalienabili”, è stata l’accusa di Erik Marquardt (Verdi/ALE), mentre per Malin Björk (Sinistra) “serve un impegno europeo a supporto delle organizzazioni della società civile che salvano i naufraghi, smettendola di criminalizzarle”.
Da destra sono arrivate bordate sia nei confronti della Commissione, sia verso la posizione della maggioranza parlamentare che sostiene il gabinetto von der Leyen. “Dopo numerosi dibattiti sull’immigrazione, non c’è stato nessun risultato e le morti in mare continuano”, ha accusato Annalisa Tardino (ID). Per l’eurodeputata in quota Lega “dall’Unione Europea arrivano solo segnali di immobilismo”, mentre “questo dibattito rappresenta l’ennesima sconfitta, grazie a chi continua a inseguire idee irrealizzabili“, che “incentivano le partenze dalle coste africane e non tutelano chi subisce disagi in Europa”. Sulla stessa linea l’eurodeputato di Fratelli d’Italia Nicola Procaccini (ECR): “Da anni sappiamo che se aumentano le partenze, aumentano anche le morti e gli affari per i trafficanti”. Da parte della destra europea “serve un presidio navale con gli Stati africani e stabilire prima della partenza chi ha diritto ad arrivare in modo sicuro”, piuttosto di “continuare a perseguire una linea politica che ha causato solo disordine, illegalità e tragedie”.