Bruxelles – Dare un prezzo alle emissioni di carbonio, l’UE è alla ricerca di una coalizione con le grandi potenze emettitori di CO2 del pianeta. Lo spiega chiaramente il vicepresidente esecutivo per il Green Deal, Frans Timmermans, in un intervento all’annuale evento sullo Stato dell’Unione 2021 organizzato dall’Istituto universitario europeo di Firenze, con quasi due mesi esatti di anticipo sulla proposta di un nuovo meccanismo europeo di aggiustamento del carbonio alle frontiere, meglio nota come tassa sulla CO2 alle frontiere esterne dell’Unione.
Ormai c’è la conferma che l’Esecutivo europeo pubblicherà il suo pacchetto legislativo Fit for 55 il 14 luglio, e tra le altre iniziative, ci sarà proprio il meccanismo. “Ci potrebbero volere fino a due anni di tempo per renderlo operativo”, sottolinea Timmermans, ricordando che dopo la proposta di Bruxelles spetterà ai due co-legislatori, Parlamento e Consiglio, negoziare per un accordo definitivo. Uno o due anni di intermezzo in cui la Commissione spera “che i nostri partner internazionali – in primis, Cina e Stati Uniti – analizzino il potenziale impatto del meccanismo e prendano altrettante misure che aiutino l’UE a non imporre questo meccanismo. La mia speranza è questa”, ha avvertito Timmermans.
La questione è che le importazioni nette di beni e servizi nell’UE rappresentano da sole oltre il 20 per cento delle emissioni interne di CO2 dell’Unione. Il meccanismo – fissando un prezzo sul carbonio per le importazioni – andrà a intervenire sulla pratica di “rilocalizzazione delle emissioni di carbonio”, quindi la tendenza dei settori più inquinanti dell’industria europea a spostare la loro produzione nei Paesi in cui ci sono norme sulle emissioni meno ambiziose o controlli meno stringenti, svantaggiando di fatto le imprese che invece continuano a produrre nell’Unione Europea. Una questione di sopravvivenza del settore industriale europeo, così la presenta la Commissione europea. Se gli altri attori globali non assumono politiche climatiche ambiziose come quelle di Bruxelles in termini di riduzione delle emissioni o di tasse per i settori che inquinano di più il rischio è quello di una distorsione della concorrenza e di sempre più frequenti tentativi di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, per cui in alcuni settori o sotto-settori industriali le imprese trasferiscono la loro produzione in Paesi che non hanno gli stessi standard di riduzione delle emissioni dell’Ue perché vengono tassati di meno.
Chiaro che se tutte le grandi economie inquinanti assumessero le stesse misure, non ci sarebbe bisogno di un meccanismo. “Siamo pronti a lavorare con tutti i nostri partner sul prezzo del carbonio”, ha teso la mano il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, al vertice sul clima organizzato da Joe Biden. Anche se Stati Uniti e Cina hanno già storto il naso sull’idea di una tassa europea sul carbonio alle frontiere. Timmermans si dice convinto di condividere tanto con Pechino quanto con Washington la coscienza politica di capire l’urgenza di questa crisi climatica, e sulla necessità di agire per fare qualcosa. Il “processo per stabilire questo meccanismo è molto complicato”, ha ricordato il vicepresidente esecutivo, soprattutto per cercare di evitare che diventi una misura protezionistica, è questo ciò che preoccupa gli altri partner globali. “Non possiamo permetterci di metterlo a punto in maniera sbagliata”. L’UE dovrà selezionare i Paesi da sottoporre al meccanismo e anche i settori industr Rispondendo a una domanda se c’è la possibilità che la Cina non sia dentro questa lista, Timmermans non ha risposto ma ha affermato di ritenere l’impegno di Pechino (neutralità entro il 2060, con picco di emissioni al 2030) un impegno concreto “non solo propaganda”.
Nello stesso pacchetto di luglio, ci sarà anche la revisione del meccanismo europeo di scambio quote di emissioni, l’ETS UE. La Commissione sta cercando di capire come “portare ancora di più l’aviazione dentro il meccanismo ETS” magari proponendo una nuova tassa sui combustibili dei jet. Timmermans ha ricordato che il settore dei trasporti è uno di quelli in cui le emissioni continuano ad aumentare, a parte l’ovvio calo registrato durante i vari lockdown per la pandemia. Il sistema ETS dell’UE copre le emissioni prodotte da oltre 10mila impianti ad alto consumo di energia (come centrali energetiche o impianti industriali) e dalle compagnie aeree che collegano i 30 Paesi che fanno parte del sistema (I 27 dell’UE, più l’Islanda, il Liechtenstein e la Norvegia).