Di Uski Audino
È passato quasi un anno dal crac Wirecard, il più grave scandalo finanziario in Germania dal dopoguerra a oggi, e la commissione d’inchiesta del Bundestag è arrivata ieri alle sue battute finali, con l’audizione della cancelliera Angela Merkel.
Il caso Wirecard è di sicuro una storia tedesca, ma è più di una brutta storia per la Germania. Wirecard è il miraggio mancato di un riscatto tecnologico, la fantasticheria naufragata di una competizione ad armi pari con i giganti del web sulla scena mondiale, è il sogno che si trasforma nell’incubo peggiore, la perdita di credibilità.
A giugno scorso, la società di servizi finanziari online di Aschheim, presso Monaco, nel giro di una manciata di ore crolla dalle stelle delle 30 maggiori aziende quotate alla borsa tedesca alle stalle della bancarotta. Nel corso di una settimana il costo di un’azione passa da 100 a 3 euro. L’Ad, l’austriaco Markus Braun, si trova a presentare la richiesta di fallimento al tribunale amministrativo di Monaco dopo che irrefrenabile si sparge la voce di un bilancio gonfiato per 1,9 miliardi di euro. “Le somme sui conti fiduciari a favore di Wirecard per un totale di 1,9 miliardi di euro molto probabilmente non esistono” dichiara a caldo la portavoce della procura di Monaco il 25 giugno. Ed è proprio così. Non usciranno mai fuori, e i piccoli azionisti che avevano creduto nel sogno tecnologico made in Germany perderanno in tutto circa 22 miliardi di euro. Braun finisce in cella accusato di falso in bilancio, manipolazione di mercato e frode. Mentre il suo numero due Jan Marsalek fa perdere le sue tracce. Per il Paese è uno shock, il Ground zero della finanza tedesca secondo la stampa, ma è molto di più.
Parallelamente all’indagine giudiziaria avviata a giugno dalla procura di Monaco, l’opposizione al Bundestag chiede e ottiene una commissione d’inchiesta, che comincia a lavorare lo scorso 8 ottobre. L’obiettivo è accertare le responsabilità della politica. Fino a che punto gli organi di controllo di nomina governativa erano al corrente delle irregolarità dell’azienda e per quale ragione non sono intervenuti prima? In poco più di sei mesi, vengono ascoltate 98 persone. Molte di loro vengono allontanate dai posti di comando nel corso di questo periodo come diretta conseguenza allo scandalo Wirecard. È il caso dell’ex numero uno dell’Autorità federale per la vigilanza finanziaria (BAFIN) Felix Hufeld, che dipende dal ministero delle Finanze, di Ralf Bose, ex presidente dell’Apas, l’autorità di controllo dei revisori dei conti come Ernst & Young che fa capo al ministero dell’Economia, di Edgar Enrst, ex presidente del Dpr, l’organo incaricato di monitorare il reporting finanziario delle aziende per conto dello Stato, e infine di Hubert Barth, l’ex numero uno di Ernst & Young Germania che certificava da anni i bilanci di Wirecard. L’intera prima fila di tutti i livelli degli organi di sorveglianza si ritrova coinvolta nel caso Wirecard e deve affrontare le necessarie conseguenze facendo un passo indietro. La vigilanza finanziaria perché non ha vigilato, i revisori dei conti perché hanno permesso bilanci irregolari già dal 2015, i revisori dei revisori che non hanno controllato e via di questo passo.
Questa settimana si è arrivati al livello più “puramente” politico, con l’audizione dei ministri delle Finanze, Olaf Scholz, e dell’Economia ed Energia, Peter Altmaier. La cancelliera Angela Merkel invece si è offerta volontariamente di dare spiegazioni del suo coinvolgimento nel caso. A Merkel si chiede conto di un episodio in particolare: nel settembre del 2019, in occasione di un viaggio in Cina alla testa di una nutritissima delegazione commerciale, la cancelliera ha perorato la causa di Wirecard. Perché lo avrebbe fatto se in quel periodo erano già noti i sospetti sull’azienda di Aschheim divulgati dal Financial Times dall’inizio dell’anno? “Non c’era motivo all’epoca, nonostante tutte le notizie di stampa, di supporre che ci fossero gravi irregolarità in Wirecard” ha risposto la cancelliera in commissione. Merkel poi ha dovuto chiarire come abbia potuto cedere alle insistenze del suo ex ministro della CSU Karl-Theodor zu Guttenberg (dimesso anni fa in seguito allo scandalo per il plagio della tesi di dottorato), che aveva chiesto e ottenuto un incontro a quattr’occhi con la cancelliera per perorare la causa dell’espansione in Cina di Wirecard.
Alla domanda se non si sia sentita ingannata o strumentalizzata dal suo ex ministro, Merkel ha risposto “non mi spingerei a tanto, ma era comunque abbastanza interessato”. In effetti, secondo il membro della commissione di Inchiesta ed esperto di finanze della CSU Hans Michelbach, prima del fallimento Wirecard avrebbe pagato per sovvenzionare l’attività di lobbismo in totale 62 milioni di euro.
Chi ha corso il rischio maggiore nel corso dell’audizione del 22 aprile è stato il ministro delle Finanze, candidato alla cancelleria per i socialdemocratici alle prossime elezioni. E infatti Scholz è stato anche il più netto nel respingere al mittente ogni accusa. “Nell’azienda si è agito con una significativa energia criminale” ha detto Scholz, “ma la responsabilità di questo non è sulle spalle del governo tedesco”. Secondo il ministro, la responsabilità di quanto accaduto è da imputarsi all’inadeguatezza del BAFIN, che ha deciso di riformare. È questa agenzia ad aver fatto le scelte sbagliate, come nel caso dell’autorizzazione al discusso divieto di vendite allo scoperto delle azioni Wirecard, “che non sarebbe dovuto essere autorizzato dal ministero”, ha detto Scholz. La strategia difensiva del candidato SPD, con il tempo, deve essere risultata talmente chiara che a un certo punto il deputato della FDP Florian Toncar lo ha pregato “per motivi di tempo di non parlare più della riforma del BAFIN”.
La discussione si è poi concentrata sullo scambio da un account privato di email tra Scholz e il gabinetto della Cancelleria, Helge Braun, sul tema Wirecard, email che il ministro si sarebbe rifiutato di mettere a disposizione della commissione. “A quanto pare nessuna commissione d’inchiesta può fare a meno di email cancellate. È deludente” ha osservato ironico il deputato della Linke Fabio De Masi, facendo riferimento alla commissione sulle spese della Difesa a guida von der Leyen.
Scholz, di professione avvocato, è riuscito a respingere le accuse e a uscirne integro, mentre il suo sottosegretario alle Finanze Jörg Kukies è stato sulla graticola fino a notte fonda in un interrogatorio serrato di 9 ore. La relazione conclusiva della commissione però potrebbe riservare ancora delle sorprese.
Questo approfondimento fa parte della collaborazione di Eunews con Derrick, newsletter settimanale che indaga la Germania in vista delle elezioni del Bundestag di settembre 2021.