Bruxelles – Quando si tratta di far valere il diritto di libera circolazione di un figlio appartenente a una famiglia composta da genitori dello stesso sesso non c’è appello all’identità nazionale che tenga. Lo ha detto l’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea Juliane Kokott nelle conclusioni relative al caso di due madri residenti in Spagna, Paese in cui è nata la loro figlia.
All’atto in cui una delle due mogli (V.M.A.), in quanto cittadina bulgara, ha richiesto all’autorità del suo Paese di origine di rilasciare a sua figlia un certificato di nascita per l’ottenimento di un documento di identità valido per la libera circolazione nell’UE, le è stato chiesto di indicare quale delle due madri fosse quella biologica. Al rifiuto della madre bulgara di fornire l’informazione richiesta, il comune di Sofia, che stava portando avanti la pratica, ha respinto la sua domanda. L’iscrizione di due genitori di sesso femminile in un atto di nascita è stato dichiarato dalle autorità di Sofia “contrario all’ordine pubblico della Bulgaria”, che non autorizza i matrimoni tra persone dello stesso sesso.
Per l’avvocato generale, sebbene non spetti all’Unione Europea l’accertamento dello stato civile di una persona e i rapporti della sua filiazione, è anche vero che gli Stati membri devono esercitare le loro competenze in materia nel rispetto del diritto dell’Unione. Nel rifiutare l’istanza della madre bulgara, il comune di Sofia le ha impedito il “diritto di condurre una vita familiare normale nel suo Paese di origine”, principio che è stabilito per tutti i cittadini dell’Unione.
Il mancato riconoscimento dello status di genitore, si legge nella soluzione proposta sul caso dall’avvocato al giudice europeo, “creerebbe gravi ostacoli a una vita familiare in Bulgaria, a tal punto da dissuadere V.M.A. dal ritornare nel proprio paese d’origine”. Un ulteriore errore sarebbe secondo Kokott quello di vietare il certificato alla figlia di V.M.A. qualora si possa verificare con certezza che la bambina sia nella condizione di ottenere la cittadinanza bulgara (che nel Paese balcanico può essere acquisita da chiunque abbia almeno uno dei due genitori di nazionalità bulgara). In entrambi i casi le autorità bulgare sarebbero obbligate a riconoscere il rapporto madre-figlia.
Secondo l’avvocato tedesco inoltre il riconoscimento dei vincoli di parentela instaurati da V.M.A e sua figlia in Spagna unicamente finalizzato a garantire il diritto di libera circolazione di un familiare di un cittadino europeo non minerebbe gravemente la concezione di “famiglia tradizionale” sancita nella Costituzione bulgara, che limita questo concetto all’esistenza di una sola madre e di un solo padre. Tale obbligo, si legge nelle conclusioni, “non minaccerebbe l’espressione fondamentale dell’identità nazionale” definita dal diritto di famiglia bulgaro.
Il rifiuto di riconoscere il rapporto di filiazione tra il bambino e V.M.A. andrebbe “al di là di quanto è necessario per preservare gli obiettivi invocati dalla Bulgaria” in termini di identità nazionale.