Sempre più spesso con il mercato unico i lavoratori europei si trovano a dover lavorare temporaneamente in uno Stato diverso dal proprio. Lo fanno i muratori di aziende che vincono appalti all’estero ma anche i lavoratori autonomi che offrono consulenze. Succede spesso però che questa “dislocazione” sia solo un trucco dell’impresa per fare contratti con meno diritti per i dipendenti o per pagare meno tasse. Ad esempio per quanto riguarda la sicurezza sociale, grazie a una deroga alla regola generale secondo cui i lavoratori versano contributi nello Stato membro in cui lavoro, i dipendenti distaccati continuano, per un massimo di due anni, a versare contributi nello Stato membro in cui sono residenti. E alcune imprese aggirano questa regola e la utilizzano per non pagare affatto i contributi.
L’Aula di Strasburgo ha approvato una direttiva che mira a chiarire le norme per le imprese, cercando di distinguere meglio fra dislocazioni vere e tentativi di aggirare la legge e dando agli Stati una maggiore flessibilità nelle esecuzioni delle ispezioni. “Il testo finale rappresenta un equilibrio tra la libertà di prestazione di servizi e la tutela dei lavoratori distaccati. Si è incrementata la certezza del diritto e ciò migliorerà la situazione dei lavoratori distaccati che sono più di un milione in Europa”, ha commentato la relatrice del testo, Danuta Jazłowiecka (Ppe). Per il commissario all’Occupazione, László Andor, è “un chiaro segnale”, che “l’Europa non accetta le frodi e gli abusi a danno dei lavoratori distaccati”.
Il numero di lavoratori distaccati nell’Ue è stimato in 1,2 milioni. Il settore che più comunemente utilizza lavoratori distaccati è quello delle costruzione (25%), in particolare nelle piccole e medie imprese. Seguono poi i servizi, settori finanziari e commerciali, trasporti e comunicazioni e agricoltura.
Le nuove norme mirano a migliorare l’applicazione della direttiva del 1996, che attualmente regola la materia. Il Parlamento ha inserito un elenco di criteri per aiutare gli Stati membri a valutare se un dislocamento sia autentico o soltanto un tentativo di aggirare la legge, ad esempio attraverso società fittizie stabilite nei paesi che richiedono un basso livello di protezione sociale rispetto a altri paesi. L’Aula ha introdotto anche una definizione di “falso lavoro autonomo”, un tipo di abuso che sfrutta il fatto che molte norme sulle condizioni di lavoro, che devono essere garantite ai sensi della direttiva, non sono applicate sistematicamente ai lavoratori autonomi, e per questo nei contratti si abusa spesso di questa categoria.
Per Pervenche Berès (S&D), presidente della commissione per Affari sociali, “questa direttiva è un passo in avanti verso una migliore tutela dei lavoratori distaccati. Incrementa la cooperazione tra gli Stati membri e combatte gli abusi come il falso lavoro autonomo e le imprese fittizie”. Non la pensano così però i sindacati. Bernadette Ségol, segretario generale della Confederazione europea Ces, parla di un risultato “profondamente frustrante e deludente”, aggiungendo che “nel migliore dei casi il Parlamento europeo è riuscito al massimo a rafforzare l’applicazione di diritti deboli e minimi”, e nel peggiore addirittura “mina la capacità di quegli Stati membri che cercano di far rispettare la presente direttiva di poterlo fare in futuro”.
Un esempio di indebolimento della direttiva del 1996 per la Ces si trova nella parte sui subappalti. I sindacati denunciano che otto Stati membri hanno leggi nazionali che permettono facilmente alle società subappaltatrici di violare i contratti e, a loro avviso, la nuova direttiva gli permetterà di continuare a farlo permettendo di mantenere certe regole finché sono “proporzionata”. Questo darebbe alla Commissione europea, conclude Ségol, la possibilità di chiudere un occhio dando priorità “a obiettivi di mercato interno ritenuti più importanti”.