Di Uski Audino
La Spd ha poche chance di restare al governo in Germania dopo le elezioni di settembre, ma l’aria di débâcle che tira sulla Cdu travolta dagli scandali non permette di escludere alcuno scenario. Mai dire mai. E le elezioni di domenica in Baden-Württemberg e in Renania-Palatinato potrebbero confermarlo. Per questo è importante prestare un occhio al posizionamento dei socialdemocratici in politica estera, in particolare nei confronti dell’Europa. Se c’è infatti un partito che dai tempi della candidatura dell’ex presidente del Parlamento europeo Martin Schulz ha fatto dell’Europa una bandiera, parlando degli Stati Uniti d’Europa, quello è l’Spd. L’orientamento europeo dei socialdemocratici va quindi tenuto in considerazione, tanto per la sua influenza nella disponibilità tedesca al Recovery fund quanto per eventuali scenari futuri post-elettorali. Nel programma dei socialdemocratici si scrive ad esempio che “la storica decisione del più grande programma di ricostruzione nella storia dell’Unione europea non ci sarebbe potuto essere senza l’Spd. Un cambiamento di paradigma storico nella politica europea”. Ora, di sicuro l’accordo raggiunto sul Recovery Fund non è un colpo tirato a segno solo dai socialdemocratici, ma di certo l’impegno tedesco nel portare avanti questo Recovery sarebbe stato difficile da immaginare con la guida delle Finanze ancora nelle solide mani dell’ex ministro Wolfgang Schäuble.
Ma facciamo un passo indietro. Che ruolo ha la politica estera nell’Spd?
Da sempre il ruolo e il peso degli Esteri nel programma di un partito, in Italia come in Germania, è pari a un fanalino di coda. E l’Spd non fa eccezione. Il capitolo “Un’Europa sovrana nel mondo” arriva a pagina 52 su 64. Del resto non stupisce: gli elettori vanno convinti hic e nunc, difficile appassionarli e trascinarli al voto su scenari lontani. Formata in un ordine mondiale pre-europeo e abituata a ragionare in un orizzonte ancora nazionale, la dirigenza politica – in Italia come in Germania, nell’Spd come nella Cdu – intende la politica estera così come la politica europea come una lista di desiderata, una sorta di libro dei sogni. In particolare nel caso dell’Spd. I socialdemocratici vogliono “rafforzare l’Europa” perché “solo in un’Europa solidale e sovrana siamo in grado di contribuire a dare forma al mondo di domani e avvicinarci alla nostra visione di un futuro più democratico, giusto e sostenibile”. Quali sono gli strumenti per arrivare a questa Europa? Si tratta, in verità, di strumenti piuttosto concreti e interessanti per l’Italia: innanzitutto l’Spd è favorevole agli investimenti pubblici in Europa sul capitolo ‘sostenibilità ambientale’ anche per il futuro. “Gli investimenti sono essenziali per un futuro europeo sostenibile” si scrive nel programma e “noi rimaniamo favorevoli a una politica europea di investimenti comuni”. Un altro modo per dire: non vogliamo un intervento ‘una tantum’ ma una cooperazione permanente, un punto di differenza sostanziale rispetto alla posizione dei conservatori della Cdu-Csu, decisi a votare il Recovery fund una volta e mai più, come hanno spesso ripetuto.
I socialdemocratici sono molto favorevoli ad “un’unione fiscale” e a potenziare una politica fiscale comune in Europa. Mentre sul fronte dell’unione bancaria il ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz si è speso più volte a sostegno del completamento dell’Unione bancaria, cara all’Italia. L’intenzione dei socialdemocratici è da una parte portare avanti l’unione fiscale e dall’altra spingere verso “l’unione sociale comune” per “un’assicurazione europea sulla disoccupazione” che dia sicurezza ai lavoratori in tempi di crisi. Quando nell’autunno del 2018 in Italia si parlava di reddito di cittadinanza il socialdemocratico Scholz, in un dibattito pubblico, espresse il suo personale stupore nello scoprire che a sud delle Alpi non ci fosse qualcosa di paragonabile al sussidio di disoccupazione tedesco, meglio noto come Hartz IV.
Nelle intenzioni dei socialdemocratici, in sintesi, c’è la volontà di una maggiore integrazione europea ma ad un patto: che non si configuri come perdita di diritti o abbassamento degli standard di welfare per i cittadini tedeschi ma, al contrario, come innalzamento o estensione di quegli standard al resto dell’Unione. Lo si scrive chiaramente: “estenderemo i diritti dei lavoratori”. L’Europa non deve essere un gioco a perdere per i lavoratori tedeschi.
Sul versante delle istituzioni europee i socialdemocratici puntano a rafforzare il ruolo dell’Europarlamento e chiedono di spingere l’acceleratore su una “vera iniziativa legislativa del Parlamento europeo”. Sono favorevoli al voto a maggioranza nella politica estera della Ue, contro l’attuale voto per unanimità, e sostengono che l’Alto rappresentante per la politica estera e di difesa europeo si debba trasformare in un vero ministro degli Esteri.
Sul fronte Usa, l’Spd così come la Cancelliera Angela Merkel, chiedono “una nuova partenza dei rapporti transatlantici”. Che significa? L’articolazione di questa ripartenza per l’Spd è decisamente vaga. Si parla di “rafforzare” il legame di collaborazione con gli Usa sui temi della protezione del clima (stesso argomento sostenuto dai Verdi), politica sanitaria, commercio, disarmo (sic!) e sulla domanda di sicurezza. In particolare, la Nato rimane “irrinunciabile” ma viene messo l’accento sul fatto che “parallelamente la Ue deve diventare più autonoma in termini di sicurezza e difesa”. Al di là delle parole contenute nel programma elettorale 2021 restano i fatti: lo scorso dicembre in parlamento la sinistra dell’Spd ha avuto la meglio nel bloccare al Bundestag la proposta in discussione da anni di armare i droni a supporto delle truppe, da impiegare per esempio nelle missioni all’estero come in Afghanistan. Al tempo stesso l’Spd e il ministro degli Esteri Heiko Maas hanno però dato l’ok a proseguire la missione in Afghanistan fino alla fine dell’anno. Secondo diversi analisti, la tecnica di dare un colpo al cerchio e uno alla botte in politica estera, nasconde di fatto il cambio di passo (a sinistra) del partito. Dopo le dimissioni nel 2019 di Andrea Nahles e la sconfitta al congresso della linea Scholz nel partito, la linea dominante anche in politica estera è quella anti-militarista di Rolf Mützenich e dei due co-presidenti del partito, Sakia Esken e Norbert Walter-Borjan.
Dai radar del partito, almeno per quel che riguarda il dibattito pubblico, è sparita la politica estera nei confronti della Cina, di cui parla ormai soltanto l’ex cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder. Il padre “scomodo” dell’Spd non si fa illusioni su un punto: “gli Usa hanno tolto lo sguardo dall’Europa e lo puntano sulla Cina”, da qui nasce “la chiara e cristallina richiesta degli Usa all’Europa: allinearsi alle linee americane e marciare insieme contro Pechino”, scrive Schröder in un contributo su Handelsblatt. “Ma è saggio? Riflette i nostri interessi? E non ci sono alternative ad una nuova guerra fredda?” prosegue l’ex cancelliere. Naturalmente, prosegue Schröder, non bisogna farsi illusioni su cosa è la Cina, il suo sistema e i suoi obiettivi ma “anche se la Cina è un partner politico difficile, noi europei non dovremmo lasciarci trascinare in una guerra fredda commerciale”, sintetizza l’ex capo dei socialdemocratici. Piuttosto si dovrebbe fare attenzione “alla nostra sovranità europea nei confronti di Cina e Usa, che non significa equidistanza” data l’alleanza atlantica che pure deve essere riformata con urgenza, visto che “l’Europa deve diventare un attore autonomo tra i due poli di Cina e Usa”. Una posizione in verità non molto diversa da quella sostenuta dalla Cancelliera Angela Merkel, alla conferenza di Monaco, ma che non coincide con l’ala ultra-atlantista, molto influente e nutrita, della Cdu.
Questo approfondimento fa parte della collaborazione di Eunews con Derrick, newsletter settimanale che indaga la Germania in vista delle elezioni del Bundestag di settembre 2021.