Bruxelles – Il vero vincitore sarà chi riuscirà a formare la nuova alleanza di governo. Le ultime elezioni in Catalogna di ieri (14 febbraio), hanno regalato la prima maggioranza relativa dei voti nella storia al partito socialista del primo ministro spagnolo Pedro Sánchez, ma confermano anche il peso degli indipendentisti, che ora si apprestano a conservare saldamente nelle loro mani la guida dell’esecutivo regionale.
La lista del candidato socialista Salvador Illa (ministro della salute fino a pochi mesi fa) ha ottenuto il 23 per cento dei voti, un risultato notevole rispetto al 13,9 del 2017, che rafforza anche a livello nazionale il governo di Sánchez. Alla luce dei risultati dell’ultima tornata, tuttavia, il blocco indipendentista del governo uscente, formato dal partito di centrodestra Junts per Catalunya (insieme per la Catalogna), dalla forza di centrosinistra dell’Esquerra Republicana de Catalunya (ERC) e dagli estremisti di sinistra della Candidatura d’Unitat Popular (CUP), può vantare 74 seggi nel parlamento catalano, sei in più rispetto alla soglia della maggioranza assoluta.
Le percentuali della coalizione di governo restano quasi inalterate: Junts si è aggiudicato il 20,1 per cento dei voti (subendo un calo dell’1,7 per cento rispetto alle elezioni del 2017), l’ERC riconferma il suo 21,4 e il CUP è salito al 6,7 per cento (rispetto al 4,5 per cento di quattro anni fa).
Il Partito socialista vince le #elezioni in #Catalogna (22,7%) ma i partiti indipendentisti rafforzano la loro maggioranza nella Generalitat (grazie soprattutto alla crescita dell'estrema sinistra di CUP) /1 pic.twitter.com/eThxTLZtiQ
— Votofinish (@votofinish) February 15, 2021
La vera incognita riguarderà però la nuova composizione del governo, che non è scontato possa restare la stessa degli ultimi quattro anni. L’ERC, guidata da Oriol Junqueras (attualmente in carcere a causa della condanna per sedizione ricevuta dopo aver proclamato l’indipendenza catalana nel 2017) ha superato Junts e ora rivendica la presidenza della Generalitat (il nome con cui si indica il governo catalano). I rapporti tra i due partiti sono stati caratterizzati da ampie conflittualità e, seppur indicato come inevitabile, un loro accordo potrebbe rischiare di essere messo in discussione all’atto della difficile ricerca di un equilibrio politico.
È meno accreditata l’ipotesi che vede un governo sorretto da un blocco di sinistra formato dai socialisti, dall’ERC e da En Común Podemos (ECP), il partito catalano affiliato al partito nazionale di Podemos (che ha ottenuto 8 seggi). Questa alleanza riproporrebbe in fotocopia la stessa coalizione di governo nazionale, ma una sua riproposizione anche sul territorio catalano è improbabile a causa della frattura che si è approfondita negli ultimi anni in Catalogna tra indipendentisti e unionisti. La stessa ERC, che si fa promotrice di un approccio più graduale rispetto alla questione dell’autonomia catalana, ha escluso l’impegno a negoziare con il partito socialista.
Tra i risultati del voto di domenica (caratterizzato comunque da un’affluenza pari al 54 per cento, lontana dall’80 del 2017) c’è tuttavia un indubbio sconfitto: il centrodestra nazionale, che è crollato nei consensi. I liberali di Ciudadanos hanno perso il 20 per cento dei voti rispetto al 2017 e il partito popolare del leader nazionale Pablo Casado non è andato oltre il 4 per cento. Ad approfittarne è stata Vox, la formazione di destra radicale che per la prima volta entra in parlamento con 11 seggi, in una regione dove l’estremismo di destra è una novità.