Bruxelles – Eurozona divisa, in termini di sentimenti e aspettative, sul 2021. Alla Banca centrale europea sono cautamente ottimisti o almeno quanto meno meno allarmati, ma in seno all’Eurogruppo invece si guarda con maggiore preoccupazione al nuovo anno. E’ Paschal Donohoe, il presidente dell’organismo informale che racchiude i ministri economici dei Paesi UE con la moneta unica, a mostrare la scollatura tra Francoforte e le capitali europee.
“La recrudescenza dei contagi, insieme a nuove varianti del virus, colpirà l’economia europea nel 2021″, dice Donohoe nel corso dell’audizione in commissione Affari ecomomici del Parlamento europeo. “C’è anche il rischio che la crescita del reddito e della produttività rimanga debole per un periodo piuttosto lungo“. Praticamente in ballo c’è tutto. Consumi al minimo per una domanda contenuta, assieme ad un’offerta timida. in sintesi, recessione. Ci si prepara dunque al peggio, con l’auspicio di non dovercisi ritrovare.
Data la situazione, la politica dell’UE “non riguarda la revoca immediata degli stimoli fiscali”. Avanti quindi con l’intervento pubblico. E’ vero, ammette il ministro delle Finanze irlandese, che “i debiti pubblici sono aumentati, ma sono aumentati per sostenere occupazione e tessuto produttivo”. Non c’era altra scelta. “Il costo del non intervento sarebbe stato anche più elevato”. Dopodiché, prosegue il capo dell’Eurogruppo, “ciò che conta è la sostenibilità del debito“. Qui Donohoe chiama in causa i governi nazionali a fare sforzi di riduzione, invito valito specie per Paesi come l’Italia che già ne aveva uno elevato prima della pandemia di COVID-19.
Donohoe ricorda quindi “l’ampiezza delle decisioni prese nel 2020″, prova tangibile della ” volontà della nostra Unione di rispondere a questa crisi”. Un modo per dire che adesso che le decisioni sono state prese, occorre tradurle in pratica. E spetta ai governi farlo. “Per uscire dalla crisi è necessaria un’attuazione decisiva delle politiche a livello nazionale“.