Bruxelles – È stata la spada di Damocle sulle teste dei capi-negoziatori Michel Barnier e David Frost per tutta la durata delle trattative post-Brexit tra Unione Europea e Regno Unito. Il punto di scontro che fino all’ultimo ha rischiato di far saltare l’intero accordo commerciale. Solo il 24 dicembre, a una settimana esatta dalla fine del periodo di transizione, è stata trovata un’intesa sulla questione della pesca: un dossier di 250 pagine all’interno di un documento finale di 1.246, che sancisce gli interessi comuni sul diritto di accesso reciproco e le quote di cattura nelle rispettive acque di competenza.
A questo punto dovrà essere il Parlamento Europeo a ratificare l’intesa con Londra (sezione sulla pesca compresa), presumibilmente nella sessione plenaria di marzo. In vista di questo appuntamento, questa mattina (lunedì 11 gennaio) si è tenuto un confronto tra gli eurodeputati della commissione per la Pesca (PECH) e la direttrice generale di DG Affari marittimi e pesca, Charlina Vitcheva. Al centro dell’audizione, l’illustrazione dei punti centrali dell’accordo e i chiarimenti sulle questioni più sensibili per il futuro dei pescatori europei.
L’accordo
A differenza delle altre mille pagine dell’accordo commerciale, il dossier della pesca prevede un periodo di adeguamento fino al 30 giugno 2026, sulla carta praticamente privo di condizioni (fatta eccezione per quelle sullo scarico delle catture dei pescherecci nei porti della controparte, che già ha mostrato criticità in Irlanda del Nord durante la scorsa settimana). “Era impossibile restare nella situazione precedente alla fine del periodo di transizione”, ha esordito la direttrice generale Vitcheva. “Con il discorso sulla sovranità e sulla tutela degli interessi dei propri pescatori, Londra ha avvelenato il dialogo per quattro anni”.
Recriminazioni a parte, il fondamento su cui si basa questa parte del documento è il rispetto dei diritti sovrani dei Paesi costieri dell’Unione e del Regno Unito. Scorrendo le pagine, risulta chiara la linea dettata dall’UE di rispetto dei principi della Politica comune della pesca (PCP), come la sostenibilità ambientale, la resa massima sostenibile da una biomassa e la non-discriminazione. È quanto emerge dal capitolo 2, che insiste sulla necessità di affidarsi all’opinione scientifica migliore disponibile per aggiornare nel tempo questi principi/obiettivi. “Abbiamo cercato di evitare sorprese sgradite”, ha spiegato Vitcheva. “Attraverso il principio della notifica tempestiva le parti avranno il tempo per fare chiarezza sulle misure della controparte”.
Per quanto riguarda le autorizzazioni di pesca, l’emissione delle licenze per i pescherecci britannici ed europei è iniziata già dopo l’accordo del 24 dicembre, quando Bruxelles e Londra hanno condiviso le rispettive liste di pescherecci.
Quote di pesca
Il punto più duro da sciogliere è stato il capitolo 3, quello che disciplina i tre punti fondamentali per l’UE: accesso alle risorse ittiche della controparte, quote di cattura nelle reciproche acque e posizione di ripiego in caso di mancati accordi futuri. Per quanto riguarda le quote di pesca (TAC, totali ammissibili di catture), a partire dal 2025 cesserà la validità del quadro di riferimento attuale ed entreranno in vigore le nuove quote: la riduzione per l’UE sarà del 25 per cento. “Il Regno Unito voleva prendersi ‘tutti i suoi pesci’, insistendo sulla propria zona di pesca esclusiva”, ha seccamente commentato la direttrice generale.
A partire dal 2025, è prevista una consultazione annuale sulle quote di pesca, con l’accordo per l’anno successivo che deve essere raggiunto entro il 10 dicembre. Nel caso in cui entro quella data non si riuscisse a concordare il quadro per l’anno successivo, subentrerebbe una TAC provvisoria: è una posizione di ripiego importante, perché senza un accordo sulle quote di pesca si rischierebbe un divieto di accesso alle acque della controparte. Le quote provvisorie saranno determinate dal parere del Consiglio internazionale per l’esplorazione del mare (CIEM) e rimarranno in vigore fino a quando non saranno concordate quelle definitive.
L’esercizio annuale di disciplina delle TAC è un processo comune nelle politiche di pesca tra l’UE e Paesi terzi. “Con la Norvegia abbiamo un accordo da 40 anni, non ci sono mai stati problemi perché i rapporti si stabilizzano e diventano consuetudini”, ha spiegato Vitcheva. “Lo stesso succederà con il Regno Unito, i rapporti si stabilizzeranno non appena ritornerà la fiducia reciproca“. La sintesi è che nessuno vorrebbe violare da un anno all’altro un accordo che sancisce interessi comuni, rischiando di comprometterli per delle quote di pesca che d’improvviso non sono più accettabili.
Accesso alle acque
Come anticipato, grazie al periodo di adeguamento l’accesso alle reciproche acque non sarà toccato per i prossimi cinque anni. A partire dal primo luglio 2026 si potranno tenere consultazioni annuali relative alle disposizioni sull’accesso alle acque della controparte. “Questo serve solo a garantire che l’accesso sia proporzionale alle opportunità di pesca concordate tra le parti”, ha specificato Vitcheva. La quale ha anche voluto sottolineare con forza che nell’accordo sono comprese anche le acque territoriali, cioè quelle zone di pesca comprese tra le 6 e le 12 miglia nautiche dal confine terrestre del Paese: “Il Regno Unito non voleva consentire alle imbarcazioni UE l’accesso alle proprie acque territoriali, ma alla fine ha dovuto cedere su questo punto”.
A partire dal primo luglio 2026 la situazione rimarrà stabile con l’accesso garantito e le quote di pesca europee ridotte di un quarto. Tuttavia, se entro ogni 10 dicembre non si riuscirà a concordare le TAC per l’anno successivo (vedi sopra), l’accesso alle acque sarà garantito solo per i primi tre mesi del nuovo anno (fino al 31 marzo). Dopo, ciascuna parte potrà annunciare il divieto di accesso a determinate aree di pesca o stock, con misure di compensazione che potranno essere adottate dalla controparte. Per esempio, nel caso in cui il Regno Unito non consentisse l’accesso ai pescherecci europei, l’UE potrà ritirare in maniera proporzionale i prodotti ittici britannici dal Mercato unico. Questo misure, come sottolineato dalla direttrice generale, hanno prevalentemente uno scopo deterrente: “Non c’è da avere troppa paura per l’accesso alle rispettive acque dopo il primo luglio 2026”.
Governance e riserva di adeguamento
La governance dell’accordo sulla pesca viene regolamentata al capitolo 4, sia per quanto riguarda la gestione continuativa tra le due amministrazioni, sia per la condivisione dei dati e delle misure di ricorso previste in caso di vertenze e violazioni dell’accordo. È presente anche una clausola di revisione dell’accordo, che potrà essere applicata dopo 4 anni dalla fine del periodo di adeguamento (a partire dal 2030).
Per quanto riguarda la riserva di adeguamento britannica, si tratta di un cuscinetto da 600 milioni di euro che servirà ad ammortizzare l’impatto diretto della Brexit sui Paesi UE. “Consideriamo una perdita di 150/160 milioni annui, perciò 600 milioni ci sembrano un importo adeguato da ridistribuire tra i singoli Paesi membri secondo il rapporto di dipendenza con l’economia del Regno Unito, anche per quanto riguarda la pesca”, ha continuato la direttrice Vitcheva. “Inoltre dobbiamo anche contestualizzare la perdita di un quarto delle quote di pesca in un’area che rappresenta il 30 per cento delle opportunità del settore per l’UE”. La chiave per ripartire è la sostenibilità: “Negli ultimi 15 anni abbiamo avuto un buon impatto, con l’aumento del 50 per cento della biomassa nella zona esclusiva britannica”. Questo significa che “se continuerà, i pescatori UE potranno operare in maniera quasi uguale a prima, anche con le nuovi percentuali di quote di pesca concordate”.