Roma – Il Recovery è un bicchiere mezzo pieno: una grande opportunità che comporta dei rischi come il debito eccessivo. Il primo panel della settima edizione di “How can we govern Europe?” ha messo i riflettori su quello che è il programma principe delle politiche europee, cardine del prossimo bilancio settennale.
Il salto di qualità compiuto con l’accordo di luglio ha evitato quello che sarebbe stato un fallimento che poteva essere insostenibile per il progetto europeo. Ne è convinta Nathalie Tocci, direttore dell’Istituto affari internazionali, che sottolinea come questa volta “a differenza delle precedenti crisi, siamo invece riusciti a fare un passo avanti verso l’integrazione” trasformandola in una opportunità. Poi si è dato sostanza delle priorità come il verde e il digitale “che nel pre-covid erano solo slogan, programmi concreti che danno all’Unione europea una nuova storia da raccontare, dopo quella della pace e della prosperità con il mercato unico” che avevano perso appeal.
La cornice c’è, ora dipingere il quadro è il ragionamento di Tito Boeri, docente di economica all’Università Bocconi, che esordisce con molta preoccupazione sulle premesse del Recovery plan italiano. Così mette in guardia dall’alto rischio del debito: “c’è sicuramente una grande opportunità ma non possiamo utilizzare queste risorse per spesa corrente senza mettere in moto dei processi virtuosi e togliere i vincoli per far ripartire la nostra economia”. Le premesse del dibattito pubblico e delle strade scelte dal governo per Boeri non sono di buon auspicio. “Prima le linee guida, ora lo scontro su chi decide ma i progetti dove sono?” si chiede puntando il dito sul troppo “silenzio e riserbo”. Poi indica come fondamentali le riforme come quella della macchina amministrativa dello Stato, e soprattutto la loro attuazione. “Le riforme non devono essere solo sulla carta” dice citando l’esempio della digitalizzazione della pubblica amministrazione su cui si fa tanta retorica mentre “il problema è quello di far dialogare tra loro le banche dati e di aggiornarle”.
Riforme essenziali quanto i progetti. Lo spiega chiaramente Marco Buti, capo di gabinetto del Commissario Europeo Paolo Gentiloni che sta seguendo da molto vicino anche le azioni dei Paesi membri che si stanno misurando con i piani nazionali. Il Recovery and Resilience Facility nell’ambito del Next generation EU, “è una grande sfida anche per la Commissione, stiamo per diventare tra i più grandi emittenti di debito comune” e anche nel rapporto con gli Stati assistiamo a una specie di “rivoluzione copernicana, una mutazione genetica. “Ci stiamo attrezzando per passare da un ruolo di sorveglianza a un’interazione con gli Stati”, con le risorse e gli incentivi associate alle raccomandazioni che vengono fate ogni anno. Da qui ricade tanta responsabilità per l’Italia a cui “si chiede di implementare il programma con investimenti e riforme che per cambiare il modello di crescita”. Si tratta di un vincolo positivo spiega il funzionario di Bruxelles, ricordando che “queste raccomandazioni sono facilmente adottabili perché largamente condivise in Italia”. Non accade lo stesso in altri Paesi come ad esempio le condizioni sullo stato di diritto per Polonia e Ungheria o quelli a cui si chiede una correzione della “aggressive tax plan”.
A proposito del dialogo con il governo Buti ha evidenziato i contatti continui anche se “ora bisogna passare dall’addizione alla sottrazione”, cioè ai progetti e riforme messi in campo bisogna togliere qualcosa e dare delle priorità. Cosa come e quando, è poi il suggerimento che parte dalle linee guida indicate da Bruxelles, miles stones e target: “Bisogna vedere tutto il film e dopo l’approvazione mostrare i decreti attuativi, i monitoraggi dei costi e vedere cosa non funziona”.
Il panel di esperti e funzionari chiama in causa la politica. Il vicepresidente del Parlamento europeo Fabio Massimo Castaldo non si sottrae a i punti critici messi sul tavolo ma insite anche nel sottolineare la parte piena del bicchiere Recovery. “Bisogna riconoscere che davanti alla prova del nove l’Europa ha battuto sul taso giusto: azione comune e condivisione dei rischi. Ora però questo deve essere trasformato in uno strumento di crescita strutturale”. L’accento della sfida del debito comune e per “un preludio di una riforma fiscale fondata su risorse proprie” da intensificare partendo proprio dalla plastic tax, carbon e dalla digital tax, per giungere all’imposizione sulle transazioni finanziarie.
Il confronto ha toccato anche temi in apparenza secondari del grande piano di riforme suggerite dalla crisi economica causata dalla pandemia. Tito Boeri mostra anche qui la sua preoccupazione, sollevando la questione del reddito di cittadinanza che ha mostrato limiti nell’obiettivo di reinserimento nel mercato del lavoro. “Uno strumento che va rivisto come altri del welfare dell’assistenza sanitaria – ha detto- che vanno resi più efficienti finanziando la macchina e non la spesa corrente”. Analoga critica verso il meccanismo di ‘quota 100’ di pensionamento anticipato che “una trappola che ha reso fragile la nostra amministrazione di fronte alla pandemia”.
Non è d’accordo Fabio Massimo Castaldo che invece difende il reddito di cittadinanza e il doppio obbiettivo di emersione dalla povertà e di reinserimento: “In una riforma come quella del mercato del lavoro, che ha bisogno di grandi trasformazioni non si poteva pretendere di fare un salto di qualità in pochi mesi”.