Bruxelles – Quello tra la Croazia e la Bosnia ed Erzegovina è uno dei confini più violenti che un migrante deve affrontare sul continente europeo, seguendo la rotta balcanica. Le brutalità della polizia di frontiera croata negli anni sono state testimoniate da diverse inchieste giornalistiche e report di organizzazioni non governative. Tuttavia, uno degli aspetti più inquietanti è il ruolo che potrebbe aver giocato la Commissione Europea, non avendo controllato il rispetto dei diritti umani come avrebbe dovuto. Per questo motivo il Mediatore europeo (carica adibita a ricevere le denunce su casi di cattiva amministrazione delle istituzioni UE) ha avviato un’indagine su una denuncia di Amnesty International contro la Commissione europea. La mediatrice europea Emily O’Reilly si concentrerà sul modo in cui la Commissione cerca di garantire che le autorità croate rispettino i diritti fondamentali nel contesto delle operazioni di gestione delle frontiere.
Nel report pubblicato lo scorso 11 giugno Amnesty International ha richiamato l’attenzione sulle violazioni dei diritti umani legate ai cosiddetti pushback (respingimenti illegali di migranti alla frontiera con Stati non membri dell’Unione, ovvero Serbia e Bosnia ed Erzegovina). Per la prima volta si parla di “vere e proprie torture”: non più cellulari rotti a martellate, documenti confiscati, sacchi a pelo bruciati e manganellate, come avveniva ormai dalla primavera del 2016, ma pratiche che sfiorano il sadismo. In un resoconto dettagliato ai volontari di Amnesty, alcuni migranti hanno raccontato del comportamento della polizia croata lo scorso 26 maggio: dopo aver fermato 16 richiedenti asilo pachistani e afghani nella zona dei laghi di Plitvice, alcuni poliziotti li hanno legati con una corda e picchiati, cantando e riprendendo i colleghi che imbrattavano le ferite con ketchup e maionese trovati nello zaino di uno dei migranti. Il gruppo è stato poi costretto a camminare verso la Bosnia (dove i volontari di Amnesty hanno documentato con fotografie l’episodio delle ferite imbrattate) e diversi di loro ora sono su una sedia a rotelle. Il governo croato ha sempre smentito queste accuse.
La denuncia nei confronti della Commissione si inserisce nel contesto dei finanziamenti dell’Unione Europea alla Croazia per i preparativi per una futura adesione della Paese a Schengen (area in cui vige libertà di circolazione) e le operazioni di gestione delle frontiere. Circa 7 milioni di euro complessivi. Di questi, 300 mila sono stati destinati all’istituzione e al funzionamento di un “meccanismo di monitoraggio”, per garantire che le operazioni di gestione delle frontiere siano pienamente conformi ai diritti fondamentali e al diritto dell’Unione. Amnesty ha sollevato dubbi sull’istituzione di questo meccanismo e sostiene che la Commissione non abbia né controllato che le autorità croate lo abbiano effettivamente messo in pratica né verificato come siano stati spesi i fondi assegnati. La mediatrice O’Reilly ha ricordato che, sebbene “nell’ambito dei finanziamenti accordati alla Croazia è prevista l’istituzione di un meccanismo di controllo del rispetto dei diritti fondamentali dell’UE”, la Commissione ha sempre “evitato di dare risposte agli eurodeputati su questo fondo”.
Ad aggravare la denuncia accolta dalla mediatrice europea si aggiunge un’inchiesta di The Guardian del giugno scorso, secondo cui alcuni funzionari della Commissione avrebbero insabbiato il fallimento della Croazia nel proteggere i migranti dalle brutalità. O meglio, il fallimento stesso della Commissione, che non sarebbe riuscita a far funzionare il meccanismo di controllo preposto. Secondo le stime dell’ong croata Are You Syrious, solo nel 2018 si sono verificati oltre 10 mila pushback alla frontiera con la Bosnia ed Erzegovina.
https://twitter.com/EUombudsman/status/1326102761428094982?s=20