Bruxelles – Se è vero che il tempo guarisce tutte le ferite, potrebbe essere finalmente scattata l’ora zero di una nuova storia per il Belgio dei sovrani. Dopo sette anni di controversie, processi, accuse, smentite e test del DNA, domenica 26 ottobre l’ex-re Alberto II e la sua figlia, la principessa Delphine Boël di Sassonia-Coburgo e Gotha, si sono incontrati per la prima volta al castello del Belvédère (una delle residenza reali) per iniziare insieme un percorso di riappacificazione. Lo conferma il comunicato firmato da Alberto II, la consorte Paola Ruffo di Calabria e Deplhine Boël: “Si è aperto un nuovo capitolo, pieno di emozioni, comprensione e, anche, speranza”.
La notizia sembra mettere fine a una delle vicende più controverse della monarchia belga è arrivata oggi, direttamente dal Palazzo Reale: “Nel corso dell’incontro di domenica ognuno di noi ha potuto esprimere, serenamente e con empatia, i propri sentimenti ed esperienza”. Insomma, dopo le sofferenze, è arrivato “il momento del perdono, guarigione e riconciliazione“, una strada “paziente e talvolta difficile, che abbiamo deciso di intraprendere risolutamente insieme”. Parole di miele, quelle del comunicato congiunto, che addolciscono una situazione che sembrava ormai irrecuperabile.
Certo, già il 9 ottobre scorso la neo-principessa aveva incontrato nella stessa residenza di Laeken l’attuale sovrano del Belgio: re Philippe altri non è che il suo fratellastro e con lui aveva iniziato a stringere “un legame che si svilupperà in un ambiente familiare”. Ma tutt’altra cosa era ricucire il rapporto col padre. Delphine Boël è nata dalla relazione di Alberto II con l’aristocratica belga Sybille de Selys Longchamps nel 1968, quando già era sposato con la regina italiana dei belgi, che gli aveva dato tre figli. Una storia di tradimenti e ricongiungimenti negati, lunga quanto la vita della principessa.
Il DNA della discordia
Bisogna portare indietro le lancette del 2020 al 28 gennaio, quando la divulgazione dei risultati del test del DNA ordinato dalla Corte d’Appello di Bruxelles dimostrò che l’ex-sovrano Alberto II è il padre biologico di Delphine Boël. La lotta legale tra i due era iniziata sette anni prima, nel giugno 2013, quando l’allora 45enne artista belga aveva convocato in Tribunale il re in persona. L’obiettivo: dimostrare il loro legame familiare e farsi riconoscere il titolo di “Sua Altezza Reale”, principessa del Belgio. In realtà il procedimento si sarebbe potuto aprire solo un mese più tardi, con l’abdicazione di re Alberto II (21 luglio 2013) e la perdita della sua immunità legale.
Il braccio di ferro continuò fino al 28 marzo 2017, quando il Tribunale della capitale respinse la richiesta come infondata. L’aspirante principessa decise di ricorrere in appello: il 25 ottobre 2018 la Corte di Bruxelles cambiò il proprio orientamento rispetto alla sentenza di primo grado, ordinando ad Alberto II di sottoporsi al test del DNA per risolvere la vicenda. Proprio su questo punto si giocò l’onore dell’ex-monarca: Alberto II non aveva mai negato pubblicamente di essere il padre della donna, ma si era sempre rifiutato di fornire il suo DNA. La sentenza chiarì che il rifiuto del re sarebbe stato interpretato come un’ammissione di paternità.
Fu così che il vecchio sovrano presentò ricorso in Cassazione nel gennaio del 2019, dovendo però pagare una multa di 5 mila euro per ogni giorno in cui si sottraeva al suo dovere di sottoporsi al test. La resistenza di Alberto II non durò nemmeno metà anno: il 28 maggio 2019 acconsentì alle analisi di laboratorio per stabilire l’eventuale paternità di Delphine Boël. Tuttavia, fu concesso dal Tribunale che il risultato rimanesse riservato e fosse reso noto solo dopo il pronunciamento della Corte di Cassazione. Sentenza che arrivò il 13 dicembre e fu sfavorevole al re.
Un mese più tardi arrivò la conferma della compatibilità tra i due DNA: “Le conclusioni scientifiche indicano che lui è il padre biologico della signora Delphine Boël”, confermò l’avvocato dell’ex-sovrano. La nuova principessa è stata così integrata nella famiglia reale e potrà rivendicare la propria parte di eredità (ma non sarà in grado di integrare la linea di successione). La vittoria, per Delphine Boël, era però in primis morale: “Avevo il diritto di esistere e di essere riconosciuta figlia del re“, aveva dichiarato al termine di tutto l’iter giudiziario. “Per anni in segreto ho cercato di risolvere il problema dietro le mura, ma ero una pecora nera. Era spiacevole e insopportabile. Ora non mi aspetto più nulla”. Il titolo di “Altezza Reale” non l’ha però avuto, ha solo dovuto accontentarsi del titolo di principessa e del pesante nome di famiglia dei reali belgi.