Bruxelles – Ovunque è un continuo ripetere che il Coronavirus non conosce confini. Arriva dappertutto e nessuno riesce finora a circoscriverlo, ma nella sua avanzata il COVID-19 miete vittime soprattutto tra le donne. Sono loro a risentirne di più, economicamente e umanamente. A rilevarlo uno studio condotto dal servizio ricerche del Parlamento europeo per conto della commissione Diritti delle donne. Il dato è senza appello: il lockdown non è una cosa da donne.
Da un punto di vista occupazionale, a essere stati sconvolti sono stati tutti settori occupati prevalentemente da donne. Istruzione, turismo, ricezione, attività ricreative e assistenza all’infanzia. Questi i settori fermati completamente dalle drastiche misure anti-Covid, e qui “molte donne hanno perso il lavoro”. Risultato: la sicurezza economica delle donne e la futura partecipazione economica sono state influenzate dal COVID-19.
Problemi si pongono anche per chi resta attiva. Già, perché le donne “sono anche rappresentate in modo sproporzionato come operatori sanitari”. In quanto tali “lavorano instancabilmente in prima linea” nella crisi COVID-19, esponendosi al rischio di infezione per loro o per le loro famiglie, con carichi di lavoro aggiuntivi per gestire il numero di casi in crescita. “Questo va riconosciuto e tenuto in considerazione mentre ci spostiamo nella seconda ondata di questa pandemia”.
In Italia il dato conferma questa tendenza generale. A livello nazionale le infezioni degli operatori sanitari in Italia riguardano soprattutto le donne (69%, per un totale di 14.350 casi). In Spagna i numeri sono anche più alti: tre infezioni su quattro di personale sanitario sono femminili (75%).
Concentrandosi sulla vita domestica, a causa del COVID le donne “hanno affrontato in modo più acuto” rischi per la loro sicurezza fisica a causa della violenze tra le quattro mura in aumento in tutta l’UE e nel mondo. Secondo lo studio questo risultato colpisce fino a un certo punto. “Era ben stabilito prima del COVID-19 che la maggior parte della violenza sulle donne si verifica a casa, quindi forse non sorprende che quando le persone sono obbligate a rimanere a casa, con gli ulteriori fattori di stress della precarietà del lavoro, la preoccupazione di infezione e potenziali carichi di lavoro domestico aggiuntivi che questo è aumentato”. La risposta della politica c’è stata, ma non è possibile capirne ancora la portata
“I governi di tutta l’UE si sono adoperati per mitigare parte di questo rischio per le donne, ma dobbiamo ancora disporre di dati conclusivi sull’entità del problema e sull’efficacia delle diverse misure di intervento”, si spiega nel documento.
Il fenomeno non ha risparmiato neppure l’Italia, dove però le segnalazioni risultano in diminuzione. Per gli autori dello studio una simile riduzione delle denunce di violenza domestica “potrebbe riflettere una mancanza di fiducia tra le donne nello Stato nel fare qualcosa riguardo a queste segnalazioni”.
Più in generale il COVID-19, per ragioni di sicurezza sanitaria, ha spinto alcuni settori della sicurezza a chiedere di limitare il numero di persone che vengono arrestate e detenute, nel tentativo di ridurre il rischio di infezione nelle carceri. “Ciò può avere un effetto a catena sulla violenza contro le donne se gli autori non vengono accusati”.
C’è poi l’aspetto legato alla femminilità. Con la sospensione dei normali servizi ospedaliero-sanitari, le donne hanno dovuto fare a meno di tutte le loro assistenze. In particolare è venuta meno l’assistenza sanitaria prenatale e postnatale, e ciò “potrebbe avere un impatto sugli esiti del parto e sull’assistenza a lungo termine delle nuove madri, con tendenze relative all’aumento della depressione postnatale”. Ancora, sempre le donne, “non hanno avuto pieno accesso ai servizi di salute riproduttiva, i cui effetti possono essere duraturi”. Tra i disguidi, l’impossibilità di interruzioni di gravidanza. Molte donne non hanno potuto accedere ai servizi per l’aborto.