La calda estate volge alla fine e si preannuncia un autunno europeo caldissimo. Non si tratta di una crisi atmosferica ma del cambiamento del clima sociale europeo. L’Europa felix è progressivamente un ricordo del passato: la crisi finanziaria del 2007-8 si è tramutata in crisi del debito sovrano nel 2010 e nella crisi economica e sociale nel 2012. L’Europa mercatoria, quella che faceva sognare di un mercato omogeneo di 500 milioni di consumatori, si sta restringendo: il crollo della domanda è iniziato portando alla svalutazione del surplus produttivo di beni che ormai sempre di più ingolfano i mercati degli incanti fallimentari. La gestione della moneta comune resta in un limbo perché dal 1989 l’illusione ha prevalso sulla realtà, generando assenza di coraggio e di capacità politiche. Quindi, anche l’Europa monetaria ha ceduto il passo a regimi autocratici e attuariali di gestione del denaro: viviamo da decenni in uno stato d’eccezione che è diventato la regola. Grazie alle misure di austerità, il denaro non circola e pertanto perde di significante, cioè il suo valore reale che matura solo attraverso lo scambio. La liquidità di denaro inutilizzata è in eccesso in tutto il mondo e rischia a breve di tramutarsi in un ulteriore “bolla” da smaltire.
Mentre la crisi sta interrompendo il rapporto antropologico con il passato, la crisi beneficia gli speculatori (finanziari e politici) che stanno distruggendo la nostra stessa identità.
Dalla fine della rendita coloniale, e in particolare dagli anni ’70, l’Europa è stata mantenuta chiusa per decenni nel museo della biopolitica sociale e industriale, che faceva credere illusoriamente alla sua immutabilità. Quest’ultima si nutriva attraverso la tacita estensione del piano Marshall in salsa comunitaria. Quando negli anni ’90 l’Europa si è aperta alla mercificazione mondiale è avvenuto che un gruppo, purtroppo tutt’ora attivo, di abili speculatori e di gonzi ha trasformato dei falsi ideologici – le promesse neoliberali sulla crescita e sul mercato – in soluzioni ready-made che hanno sostituito il vero con il falso. Questa contraddizione del sistema sta costando molto cara all’Europa e ai suoi popoli: ha abolito il prodotto reale pretendendone comunque in cambio il prezzo. L’ignavia e l’opportunismo di molti, troppi politici ha cavalcato, con irresponsabilità, e continua purtroppo a farlo ancor oggi, il breve istante che dura l’effetto dell’estraneazione e della sorpresa. La politica ha oggi la forma dell’economia, cioè di governo (governance) delle cose e degli uomini. La “vita politica” va ripensata integralmente!
La situazione è disperata ma non ha senso descriverla in un’ottica ottimista o pessimista, che sono categorie inutili al pensiero. Solo attraverso la capacità di vivere nel presente il nostro passato, potremo ancora avere speranza di trovare una soluzione alle problematicità che viviamo.
Poichè l’attuale classe dirigente europea è prigioniera della citata contraddizione, non è credibile che essa possa fare altro rispetto a quanto ha fatto e sta facendo: una politica dannosa e insufficiente. Dobbiamo riconoscere che il valore dell’Europa non è più da decenni nella sua capacità innovante ma, piuttosto, nella sua capacità di preservare il modello di civiltà fondato sullo stato sociale che lo stock di ricchezza accumulato aveva permesso di realizzare. Mistificando le necessità della mercificazione mondiale, dei beni e delle persone, l’ideologia neoliberale sta imponendo, in modo autocratico, una “correzione” al modello europeo di civiltà. Formalmente essa dichiara di volerlo rendere più efficiente per salvarlo dalla bancarotta (sostenibilità) mentre, in realtà, mira al “travaso” dello stock di ricchezza a beneficio del sistema di riferimento: gli Stati Uniti d’America. Chiunque sarà il prossimo presidente americano, da novembre dovrà risanare rapidamente i conti pubblici (che finora hanno continuato a deragliare aumentando il vortice del deficit) per cercare di evitare la propria definitiva relativizzazione nella condivisione del potere mondiale. Poiché la demografia non aiuta neppure gli USA, la soluzione più rapida ed efficace è il “travaso” che in contropartita offrirebbe agli espropriati il traino fuori dalla contraddizione nella quale sono imprigionati.
Non ravvisandosi segnali politici, l’Europa potrebbe forse contare su un vasto movimento sociale e civile paneuropeo – sulla convergenza degli interessi sociali e la sensibilità civile dei lavoratori britannici con quelli spagnoli, di quelli greci con i francesi, e di quelli italiani con tutti gli altri – che sarebbe un ottimo deterrente contro i sostenitori della logica del “travaso”, della post-democrazia e dell’autocrazia di governo.
Paolo Raffone, Fondazione Cipi