Roma – Il secolo veloce. Non solo per l’Europa ma per un mondo che cambia rapidamente e che costantemente deve essere decifrato. Il saggio curato da Marco Piantini prova a mettere a fuoco il futuro di un Europa alle prese con le sfide globali più stringenti dall’emergenza climatica alle migrazioni, dalle lotte commerciali agli equilibri geopolitici. L’annuario del CeSpi, dato alle stampe per Donzelli prima della pandemia da Coronavirus, resta fuori dagli eventi degli ultimi mesi. Tuttavia, i nodi del percorso d’integrazione, dell’architettura istituzionale, del suo ruolo nel mondo era tutti già ben visibili.
Ne hanno discusso esperti e politici, in un confronto virtuale che ha potuto incrociare anche l’attualità stretta con le domande al ministro per gli affari europei Enzo Amendola che da Bruxelles porta notizie sinistre sul negoziato con gli Stati e il Parlamento che riguarda il Next generation EU e il bilancio. “Giornate complicate”, ammette, “abbiamo evitato il blocco dei frugali e dei Visegrad ma c’è ancora da fare. I tedeschi hanno fatto un grande lavoro, si tratta di convincere che le condizionalità (su stato di diritto e finanziarie) sono una garanzia per tutti”. La crisi da affrontare con il “piombo nelle ali”, vero, ma le stanze di Bruxelles non sono tutte tappezzate dal cigno nero e in questi mesi i passi vanti fatti sono stati enormi. Servirebbe l’Europa politica, più cessione di sovranità dagli Stati membri “certo che la revisione è un tema” dice il ministro, ma “da europeista pragmatico sono convinto che anche a trattati vigenti si possono fare molte cose”.
Tra i gol segnati c’è la scelta di un debito comune, meta evocata fin dai tempi di Delors, per questo “in pochi mesi l’Europa ha fatto qualcosa di straordinario di cui a fatica ci rendiamo conto” dice Luca Jahier, presidente del Comitato economico sociale europeo. “Se l’incertezza diventa la normalità in questo spazio e in queste condizioni c’è stato un cambiamento potente. Non dimentichiamo che “solo un anno e mezzo c’era l’assedio dei sovranisti”, che questi dovevano ridimensionare l’Europa e invece è accaduto il contrario.
La “risposta alla crisi c’è stata, anche se mi preoccupa la trattativa di questi giorni” dice Marta Dassù, director Europe per Aspen Institute. L’auspicio è che le decisioni della primavera siano il “primo passo di un nuovo assetto economico”. Poi il dibattito vira sul ruolo dell’UE nella visione geopolitica e di difesa: “Sarebbe un errore concepire l’autonomia dell’Europa contro gli Stati Uniti o senza una cooperazione transatlantica”. Al netto dell’incidente di percorso della presidenza Trump, “non può diventare una terza forza, neutrale, tra Cina e Usa”, rimanendo invece collegata alle democrazie occidentali. Per diventare “competitor e non teatro di competizione”, Dassù spiega che le differenze anche profonde tra i Paesi membri nella visione internazionale “impongono una correzione dei sistemi di voto a maggioranza qualificata anche in politica estera, almeno su alcuni temi”.
Questioni spinose, forse le più difficili sul fronte dell’integrazione e Nicoletta Pirozzi, dell’Istituto Affari internazionali (IAI) spiega che per l’Europa nell’affrontare il suo ruolo globale, “si impone un processo decisionale più flessibile sulle politiche di difesa, perché unanimità è sempre più spesso sinonimo di inazione”. Le missioni civili, potrebbero essere il primo passo da compiere in questa direzione. Anche l’alleanza atlantica pur restando un pilastro, “non potrà più andare con il pilota automatico”, in un bilanciamento tra l’autonomia strategica, il rafforzamento dei partenariati e i processi di integrazione differenziata.
Nelle conclusioni del confronto, Piero Fassino, presidente della commissione Esteri della Camera dei Deputati, mette in fila tutti i cambiamenti dell’ultimo decennio, un quadro con il quale l’Europa è chiamata a ridefinire sé stessa. Siamo dunque a una “terza fase” dopo la prima del Trattato di Roma, la seconda di Maastricht, ecco il nuovo contesto nel quale non si può agire “in continuità con ciò che è avvenuto finora”. L’approccio autarchico ha funzionato per cinquant’anni ma ora “qualsiasi cosa decidiamo non può prescindere da ciò che accade fuori”. È la prima ragione delle crisi che l’Europa sta subendo, “quello che avviene fuori ci entra in casa”.
Fassino poi avverte che nello scacchiere delle potenze non si può eludere il rapporto con la Russia. “Ha una idea di potenza, può non piacerci ma dobbiamo riconoscerla in quanto tale, pur senza condividerla”. Il ragionamento è di politica schietta e arriva fino a dire che le sanzioni (tutte non solo quelle contro Mosca) sono inefficaci, adottate solo dai Paesi occidentali. Aggirate dalle triangolazioni, rese facili da canali commerciali non più controllabili, “ci vuole un minuto per metterle e poi si resta prigionieri di un muro per un tempo imprevedibile”. Un rapporto che “non si può gestire in questo modo” per Fassino che poi ricorda che, per contro dall’altra sponda, “Gazprom ormai gestisce le trattative e i nuovi contratti in Euro e non più in dollari”. Liberare la Russia dalla “sindrome dell’assedio”, strategia adottata anche quando l’Europa si è allargata a est.