Bruxelles – Come adeguare la comunicazione istituzionale in tempi di pandemia? A questo interrogativo ha provato a rispondere lo European Policy Centre (EPC) in un dibattito su come le istituzioni europee stanno affrontando le nuove sfide in ambito comunicativo.
Crisi ed emergenze richiedono messaggi definiti e coerenti, ma con una crisi nuova è facile incorrere in errori, come l’UE è stata accusata di fare nei primi tempi. E tutto si complica quando intervengono le fake news e le teorie cospiratorie, così come la scarsa consapevolezza dei cittadini su quali iniziative l’Unione abbia messo in campo per gestire la risposta alla crisi. Questo emerge chiaramente, afferma il moderatore Paul Butcher dell’EPC, in un sondaggio commissionato dal Parlamento europeo. “Tre quarti dei cittadini europei è al corrente dell’impegno dell’UE, ma il 41% non sa di quali azioni si tratti”.
“Abbiamo imparato molto da questa crisi. Oggi siamo meglio equipaggiati di come eravamo all’inizio”, ammette con umiltà Pia Ahrenkilde-Hansen, Direttrice Generale per la Comunicazione della Commissione europea, impegnata in prima linea nello sforzo comunicativo dell’Esecutivo europeo. “Ripresa, ripresa, ripresa“, questa la parola chiave che permea l’approccio comunicativo in tre fasi dispiegato dalla Commissione, inevitabilmente connesso allo sforzo di policy.
In una prima fase l’UE ha dovuto reagire in modo tempestivo allo scoppio pandemico, entrando in modalità “full crisis communication“: centralizzazione e uniformazione dei messaggi, rapidità, approccio top-down con la “piena mobilitazione dei nostri servizi”. Ma l’impostazione di fondo, anche nella comunicazione, è stata impressa dalla presidente von der Leyen, già dal 2 marzo, quando ha costituito il team di commissari che si sarebbe occupato della risposta alla crisi. Non solo incoraggiando a creare una piattaforma web dedicata al COVID, da linkare e promuovere sui social il più possibile, ma anche promuovendo lo scambio di informazioni tra i servizi dell’Esecutivo. Uno sforzo istituzionale che ha incontrato la resistenza di alcuni stati membri, restii a collaborare con gli altri. Ma presto si è compreso che “stare da soli non era un’opzione da perseguire“.
Il servizio dei portavoce ha avuto un grande ruolo nel facilitare la comunicazione con i media, mettendo (con qualche inciampo iniziale) a disposizione una sala stampa virtuale con i giornalisti in collegamento.
Sono circa 800 le azioni e misure di intraprese dalla Commissione dall’inizio dell’emergenza, riferisce Ahrenkilde-Hansen, che accentua l’importanza di “mostrare, non solo raccontare la solidarietà”. Ricordiamo le immagini dei voli per i rimpatri e quelli con le forniture di mascherine e dispositivi medici. La narrazione dell’UE si è fatta strada a fatica tra quelle degli stati membri, che raccontavano gli sforzi nazionali, tacendo quelli a dodici stelle.
Dalla scorsa estate ci troviamo nella fase due della strategia di comunicazione. L’UE controlla meglio l’emergenza, non più solo sanitaria, ma economica e sociale. L’approccio promosso è un coordinamento europeo, nonostante le chiusure in alcuni paesi. Momento importante è stato l’evento Coronavirus Global Response che, secondo l’esponente dell’Esecutivo, ha aumentato la visibilità dello sforzo europeo.
La terza fase consisterà nel continuare a spiegare agli europei il piano di ripresa, “senza lasciare nessuno indietro”, tenendo conto delle sfide della migrazione, l’ambiente e lo stato di diritto. Linee già tracciate nel discorso sullo stato dell’Unione. “Trasformare la fragilità in vitalità” tra le esortazioni dell’allocuzione di von der Leyen a trovare maggiore eco.
Punzecchiata su questo dal moderatore, la Direttrice generale ammette che la Commissione non ha adottato subito un approccio emozionale, ma lo sta facendo ora, come confermano le uscite pubbliche della presidente. Con le emozioni invece i cittadini UE hanno superato la crisi. “Più che parlare di soldi, bisogna riunire le persone. La crisi ci insegna che non dobbiamo avere paura di quello che proviamo, perché ci rende più forti”.
Come ha reagito la presidenza tedesca dell’UE? Irene Plank, direttrice per la Comunicazione strategica del ministero degli esteri tedesco, riferisce che il Paese ha agito in modo simile ad altri, capendo subito la necessità del coordinamento. Il coronavirus ha scompaginato la lista delle priorità della presidenza, ma si può affermare che “la cooperazione tra stati membri è stata la priorità”. Cooperazione che, proprio in questi giorni, si riflette nella app anti-Covid comune a tutti gli stati membri a cui la Commissione sta lavorando.
“L’UE era vista come irrilevante all’inizio della crisi, non teneva fede alle promesse”, constata Jana Puglierin, Senior Policy Fellow dello European Council on Foreign Relations. L’ECFR ha analizzato i dati sulla risposta degli stati e dell’UE riunendoli nell’EU Solidarity Tracker, uno strumento utile di visualizzazione dati. Ne è emerso che nei primi tempi il focus si è attestato sui dispositivi medici, poi sull’economia. “Nonostante le restrizioni e le chiusure, gli europei sono rimasti profondamente interconnessi e solidali con i loro concittadini UE”, dichiara la Puglierin. Ed è nello stesso spirito di solidarietà che lo strumento dell’ECFR, accessibile e trasparente, è stato creato, includendo anche gli sforzi di solidarietà della società civile e dei media, compresa la pubblicità. I dati parlano chiaro anche nel dimostrare che “l’UE ha fatto molto di più di quanto non abbiano fatto Cina e Russia“, nonostante la percezione distorta creatasi in alcuni paesi, come l’Italia.
“Le misure di emergenza attuate da alcuni governi UE sono state il pretesto per erodere la libertà dei media”. Chiaro riferimento all’Ungheria di Orban quello di James Kanter, giornalista e coproduttore del podcast EU Scream. Reporters Without Borders e altre organizzazioni hanno denunciato questi fenomeni, che rendono ancora più gravoso il lavoro degli operatori dei media, costretti a “lavorare da casa, senza poter andare in redazione e incontrare i colleghi”. Vero, online le informazioni vengono condivise più rapidamente, ma “i giornalisti si sentono frustrati”, potendo per altro accedere con difficoltà alle indiscrezioni durante le riunioni importanti, come nel caso del Consiglio europeo di fine luglio. E in riferimento alla sala stampa della Commissione (300 posti) tuttora chiusa, Kanter non comprende perché non si possa dare accesso “ad almeno 50 giornalisti, con il dovuto distanziamento”.
Giudizio concorde sulla comunicazione dell’Europa nei confronti dell’Italia, Paese che nell’UE ha sofferto di più per la pandemia e che “all’inizio è stato lasciato solo”. Ma von der Leyen ha chiesto scusa due volte al nostro Paese. Se abbiamo un governo che potrebbe decidere di uscire dall’UE, ipotizza qualcuno dei presenti, forse è in parte dovuto a questo.
Concludendo, si pensa a un’Europa “che non sia solo una tecnocrazia”, ma che diventi vera protagonista delle vite dei cittadini. “Non ci sono Paesi che sempre danno e Paesi che sempre ricevono”. La crisi ha tenuto insieme gli europei ed è in questo spirito che la solidarietà degli stati e delle istituzioni dovrà muoversi in futuro.