Bruxelles – Professionisti sì, liberi decisamente no. Nella repubblica delle partite Iva (spesso forzate) essere autonomi non vuol dire avere autonomia. La possibilità di decidere del proprio lavoro spetta sempre a qualcun altro. Oltre il danno la beffa. Nell’impossibilità di avere regolare contratto e con l’obbligo a lavorare a partita Iva si aggiunge anche l’impossibilità di disporre del proprio tempo.
I dati Eurostat parlano chiaro, e mostrano il paradosso del non-libero professionista. In Italia solo il 16% delle persone con un lavoro possono decidere liberamente e completamente della propria giornata lavorativa, considerando che i lavoratori “autonomi” sono oltre un quinto della forza lavoro attiva (22%). I conti dunque non tornano. Nello stivale ci sono 3,7 milioni di persone che possono decidere da sé del proprio orario lavorativo, a fronte di circa cinque milioni di partite Iva.
Complessivamente sette persone su dieci (72%) vedono l’orario di lavoro deciso dal datore di lavoro o dal committente, un dato più alto di quello medio europeo (61%). Il motivo di questa situazione si spiega per chi ha un contratto di lavoro regolare. I dipendenti hanno meno flessibilità, ma ci sono liberi professionisti che in realtà fanno orari da impiegati. E’ il risultato dei contratti atipici, cresciuti in Europa già prima della pandemia di COVID-19. Insomma, si chiamano freelance, ma alla prova dei fatti di ‘free’ c’è davvero poco.