Bruxelles – Nulla di fatto per la destra nazionalista svizzera che perde il referendum del 27 settembre, volto a porre fine alla libera circolazione delle persone con l’UE. L’UDC e il resto del comitato promotore dell’iniziativa popolare “Per un’immigrazione moderata (Iniziativa per la limitazione)” si vedono restituire al mittente la proposta di allontanare i cittadini elvetici dall’UE, partner storico e privilegiato di Berna. Quello degli svizzeri è un NO piuttosto convinto ed espresso dalla maggioranza dei 26 cantoni e semi-cantoni della Confederazione, ovvero il 61,71% dei votanti, risultato che non tradisce le stime di qualche giorno fa. Per essere approvate, le iniziative popolari richiedono la doppia maggioranza del popolo e dei Cantoni, pertanto in Svizzera non vi sarà una limitazione nell’ingresso dei cittadini UE.
E niente clausola ghigliottina, che sarebbe scattata qualora l’ALC (Accordo di Libera Circolazione), parte degli Accordi Bilaterali I, fosse stato rigettato dai cittadini svizzeri, abrogando automaticamente gli altri sei accordi che regolamentano le relazioni tra la Confederazione elvetica e l’UE, tra cui quello cruciale sugli ostacoli tecnici al commercio.
Diversa invece la situazione per il Canton Ticino, dove vince il Sì, seppur non di molto, con il 53,1%, contro il 46,9% dei NO. A quanto pare, sarebbe ancora forte la diffidenza nei confronti dei cittadini italiani transfrontalieri, di cui si vorrebbe limitare l’ingresso in Svizzera.
Nessuna reazione al momento dal governo italiano. Dai territori confinanti con la Svizzera, intervengono i consiglieri regionali della Lombardia Samuele Astuti e Angelo Orsenigo, componenti della Commissione speciale rapporti tra Lombardia e Confederazione elvetica, e il senatore Alessandro Alfieri. Gli esponenti politici, tutti del Partito Democratico, constatano che “una parte di atteggiamento anti-italiano rimane”, anche se “sempre di più i ticinesi comprendono l’importanza del lavoro dei frontalieri”. Frontalieri tra i quali vi sono 76mila italiani, su un totale di 640mila di nostri connazionali, di cui la metà ha la doppia cittadinanza. Sarà essenziale adesso risolvere i nodi ancora da sciogliere per “trovare risposte positive per tutte le parti in gioco”.
Qualche settimana fa, i due consiglieri lombardi erano già intervenuti al riguardo denunciando con durezza uno spot elettorale anti-immigrazione della sezione ticinese dell’UDC, intitolato “Facciamolo per i nostri figli”. Lo spot sfrutterebbe “l’immagine di una bambina che prima magnifica la bellezza della Svizzera e del suo stile di vita e poi, cambiando nettamente registro, dimostra, con immagini risibili, che i Cantoni si stanno abbrutendo a causa dell’immigrazione“. In un’epoca in cui i media hanno una responsabilità nella formazione della coscienza politica di una nazione, lo sdegno dei consiglieri è comprensibile dato che lo spot, ritenuto “vergognoso sotto tutti i punti di vista, perché sfrutta l’infanzia, manda un messaggio falso e grave e attacca chiunque vada onestamente a lavorare nella Confederazione” ha evidentemente contribuito a far vincere il Sì nel Cantone.
Ai frontalieri l’ingresso non è mai stato impedito, persino nei mesi più duri della pandemia in Lombardia. Ma del COVID, elemento di cui bisognerebbe a ragione aver paura, non degli immigrati, lo spot incriminato non fa menzione.
Arrivata già ieri pomeriggio la reazione del presidente del Consiglio europeo Charles Michel, che ritiene che il 27 settembre sia stato “un gran giorno per le relazioni tra UE e Svizzera“. “Accogliamo con favore i risultati del voto popolare e auspichiamo una continuazione della nostra già stretta cooperazione. Il popolo svizzero ha parlato e inviato un messaggio chiaro: insieme abbiamo un grande futuro davanti a noi”.
Più articolata la reazione della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che non lascia dubbi: “La Svizzera e l’UE non sono soltanto vicini. Abbiamo legami molto stretti e profondi, che affondano le radici in una storia europea lunga e condivisa”. I cittadini svizzeri hanno dimostrato “di tenere molto a questi legami”.
Ma il capo dell’Esecutivo non esita a ricordare alla Confederazione che è ora necessario “procedere speditamente alla firma e alla ratifica dell’Accordo Quadro Internazionale negoziato nel 2018“, accordo su cui la Svizzera ha per troppo tempo tergiversato, e causa scatenante del diniego UE alla proroga dell’equivalenza borsistica nel 2019. Nonostante lo stallo nei negoziati dell’accordo quadro, quest’anno l’Esecutivo europeo aveva tuttavia fatto un’importante concessione a Berna: il rinvio di un anno, fino al 26 maggio 2021, dell’entrata in vigore del regolamento dell’Unione sui dispositivi medici, che la Svizzera, secondo gli accordi bilaterali, è tenuta a osservare. Tutto questo per garantire che ventilatori e altri prodotti medtech, di cui la Svizzera è produttore di punta, fossero disponibili sul mercato UE durante la pandemia, senza i rallentamenti che potevano insorgere con le autorizzazioni richieste dal regolamento UE.
La presidente dell’Esecutivo ribadisce di aver già espresso l’esortazione ad accelerare i negoziati sull’accordo “lo scorso gennaio durante l’incontro di Davos” e annuncia che incontrerà presto la presidente della Confederazione, Simonetta Sommaruga.