Bruxelles – E’ categorico Sandro Gozi, europarlamentare italiano di Renew Europe eletto in Francia, già deputato nel Parlamento italiano e sottosegretario alle Politiche europee: la riforma sul taglio dei parlamentari in Italia non porta alcuna efficienza alla democrazia e alimenta l’odio verso politica e istituzioni. Il bicameralismo perfetto deve essere scardinato e il Parlamento riformato. Dal referendum del 20 e 21 settembre alla Conferenza sul futuro dell’Europa, ci racconta la sua visione per l’Italia e l’Europa del futuro.
EUNEWS: Si vota in Italia e per l’Italia. Quali sono gli effetti che la riforma avrebbe sul Paese? E come situerebbe questo taglio in un contesto europeo?
Gozi: “E’ una riforma inutile se non dannosa. Inutile perché un taglio lineare in assenza di altre riforme non serve a nulla dal punto di vista dell’efficacia del Parlamento. Dannosa perché è l’ultimo atto di un’azione contro la democrazia rappresentativa che dura in Italia da vent’anni, partita con il libro ‘La casta’ di Stella e Rizzo, per finire con la nuova casta al potere dei M5S, che vorrebbe offrire la testa di qualche parlamentare al popolo. La riforma rafforza il populismo e l’antipolitica senza portare alcun vantaggio. Nel contesto europeo e globale, la democrazia italiana è lenta e inefficace nel trovare le soluzioni, per paradosso una delle cause dell’anti-politica, non solo in Italia. La causa è il continuo rimpallo tra Camera e Senato e la confusione sulle competenze tra Stato e regioni. Oggi siamo sempre più in competizione per produttività ed efficacia, vale per le imprese ma anche per il Parlamento. Ci confrontiamo con altri parlamenti europei e con regimi autoritari, come la Cina, che fanno a meno di questa istituzione perché credono che ‘se lo possono permettere’. Un’Italia che fa finta di riformare le cose ma lascia tutto com’è commette un doppio errore”.
E.: Ha una sua proposta per riformare il sistema parlamentare italiano?
G.: Come membro del Movimento Europeo italiano ho fatto una proposta di riforma
istituzionale insieme a Pier Virgilio Dastoli, che permetterebbe all’Italia di aumentare efficacia e influenza in Europa a livello parlamentare, puntando sul superamento del bicameralismo. Proponiamo di mantenere una Camera legislativa con 600 deputati e di trasformare completamente in senso federale il Senato in un Senato delle Regioni sul modello americano, con 2 rappresentanti per regione a prescindere dalla taglia. Oppure sul modello tedesco, con un Senato più ampio composto da poco più di 40 senatori, in base al peso demografico delle regioni. Un Senato senza il potere di sfiduciare il governo e che non farebbe le leggi, ma con un raccordo forte tra le regioni e l’Europa. Questa sarebbe una vera riforma europea per l’Italia. Vorrei che questa nostra proposta fosse inclusa nel pacchetto di riforme che il nostro governo deve presentare ai partner italiani prima ed europei poi. Sarebbe una delle cose che il governo Conte dovrebbe fare e che purtroppo credo non farà”.
E.: A proposito di lentezza istituzionale, la riforma sul taglio dei parlamentari viene proposta come uno strumento che migliorerà l’efficienza del Parlamento. Sarà veramente così?
G.: “Assolutamente no. Il punto non è essere di meno nelle commissioni, anche in quelle di 50 membri non sono mai tutti presenti. La riforma non migliora nulla, perché mantiene un bicameralismo perfetto antistorico, la causa vera delle lentezze del Parlamento. Aumentano invece i rischi nella politica italiana. Con 200 senatori e una maggioranza risicata, potrebbero bastarne una decina per sfiduciare il governo o metterlo in crisi. La riforma serve solo a gonfiare l’idea che il Parlamento non serve a nulla e i parlamentari sono dei fannulloni. Non dico che questi non abbiano fatto nulla per meritarsi questo atteggiamento, permettendo così ai giornalisti di scrivere best-seller e all’opinione pubblica di indignarsi. Ma un domani un genio informatico potrebbe dirci che con una piattaforma digitale si potrà fare a meno del Parlamento e anche 600 parlamentari sarebbero un costo insopportabile. Costo che invece è lo 0,007% delle finanze statali. Si tratta di un momento formale di delegittimazione del Parlamento. Nei miei dodici anni da parlamentare italiano non si è fatto altro che tagliare indennità e stipendi e introdurre norme che rendevano più complicato il lavoro. Non è servito a nulla. La risposta per i cittadini insoddisfatti doveva essere più efficienza e risposte rapide, oggi non avremmo disaffezione e lontananza dal Parlamento. Le nostre politiche nazionali poi sono insufficienti per dare risposte a questioni transnazionali come il cambiamento climatico, l’immigrazione, le questioni finanziarie, il terrorismo, è una partita persa. L’antipolitica in Italia ha fatto passi da gigante, più che in altri paesi, portando addirittura a una maggioranza di parlamentari eletti su questa base, vedi Salvini, Meloni, Di Maio. Ma è un problema anche di altri paesi, da qui la mia risposta di costruire una politica transnazionale e rafforzare la democrazia europea e i poteri dell’UE“.
E.: Abbiamo un eccesso di rappresentanti rispetto ad altri paesi europei? E’ un paragone plausibile?
G.: “Bisognerebbe avere una Camera con un rapporto di un parlamentare ogni 90.000-100.000 elettori, che assicuri ai territori la giusta rappresentanza, magari con un po’ meno deputati. La trasformazione del Senato, con un numero minore di eletti, porterebbe più efficienza nelle funzioni del Parlamento e un nuovo rapporto tra territori e Stato, e Parlamento nazionale e dimensione europea. Sono troppi o sono pochi? Dipende da come si fa funzionare il Parlamento. Questo taglio renderebbe solo più complicata la rappresentanza dei territori”.
E.: Se vincesse il Sì, quali categorie ne risentirebbero di più? I giovani, ad esempio?
G.: “Probabilmente sì, perché la politica italiana, ma non solo, è il contrario del merito e della meritocrazia. Abbiamo avuto occasioni splendide di mandare i migliori al Parlamento con delle liste bloccate. Se usate bene, avrebbero permesso di creare gruppi di donne e uomini impegnati su un progetto politico per il Paese e selezionati secondo le loro competenze. L’occasione perfetta, anche per dare alle forze politiche l’opportunità di scegliere i migliori. Invece è stata utilizzata nel modo opposto, e così sarà in futuro.Con meno parlamentari, gli outsider, soprattutto i giovani, la società civile e altri soggetti molto qualificati o con storie di vita che varrebbe la pena portare in Parlamento, rimarrebbero ancora di più ai margini di una politica avvitata su se stessa, sugli amici, i partiti, i membri di segreteria, le relazioni personali: il contrario del merito”.
E.: E le donne?
G.: “Basterebbe mantenere obbligatoria l’alternanza uomo-donna in Parlamento, come nella lista dove sono stato eletto. Così sarebbe facile assicurare la piena parità, forse complesso da digerire. Qualsiasi legge elettorale deve fare in modo di prevedere l’alternanza, nelle liste proporzionali bisognerebbe assicurarla. Bisogna poi vedere come sono selezionati i parlamentari, ma di certo la rappresentanza femminile rischia di soffrire per la diminuzione”.
E.: Se vincesse il Sì, la Corte Costituzionale potrebbe considerare una sospensione dell’efficacia della riforma? Senza modifiche dei regolamenti parlamentari, della legge elettorale, della legge sull’elezione del Capo dello Stato, non distorcerebbe il sistema parlamentare e di governo vigente?
G.: “Non so quello che la Corte Costituzionale potrebbe o dovrebbe fare. E’ evidente che è come togliere una trave portante da un edificio, non basta, servono modifiche che gli consentono di essere più stabile, efficiente e sostenibile. Ma qui si porta via la trave portante e si lascia intatto tutto il resto. Il rischio che l’edificio mostri crepe o crolli verrà aumentato da una vittoria del Sì”.
E.: Quanto emergerà dal 21 settembre avrà effetto su come l’Italia gestirà il recovery plan da presentare all’Europa?
G.: “Sono molto preoccupato su come l’Italia sta elaborando, o meglio non elaborando, il recovery plan. E’ già un’occasione persa. Voi di Eunews sapete benissimo che il nostro Paese è il primo beneficiario del piano, fatto pensando soprattutto all’Italia, insieme ai recovery bond un’iniziativa di noi eurodeputati. Con Renew Europe e Renaissance ci siamo battuti dall’inizio di febbraio per spingere le parti più conservatrici del Parlamento europeo a sostenere queste proposte, con in mente in particolare l’Italia. Ci sono leader che hanno portato a una svolta storica nell’UE, penso a Emmanuel Macron che ha convinto Angela Merkel a passare a una nuova logica, di un’Europa che finalmente dà gli strumenti per fare investimenti e accompagna con soldi veri le riforme necessarie agli stati membri e decide di indebitarsi insieme. Un’Europa più unita, che scommette su un futuro insieme e capisce che la crisi si affronta con un debito buono da spendere per progetti di futuro rivolti ai giovani, non con il debito cattivo della burocrazia e della spesa corrente inefficace. Da italiano, europeista e parlamentare europeo, avrei voluto che il governo italiano fosse il primo a presentare una grande strategia di riforme e investimenti, identificando aree prioritarie e iniziative concrete, pensando a famiglie e imprese colpite dalla crisi, ma anche agli investimenti per il digitale e la transizione ecologica. La Francia presenta in questi giorni il piano Relance France, il primo ministro Jean Castex lo sta già promuovendo, dichiarando che il 40% sarà realizzato grazie all’Europa. Il governo Conte ha una responsabilità enorme verso gli italiani, erano decenni che l’Italia non aveva a disposizione così tanti fondi per trasformarsi. Ma anche verso chi si è speso per l’Italia in Europa, il Parlamento europeo, la Commissione. E innanzitutto verso Macron, Merkel e gli altri colleghi europei che hanno negoziato 4 giorni, sappiamo bene che la questione principale era quella italiana e italo-spagnola. Un senso di responsabilità che dovrebbe spingere il governo ad agire meglio”.
E.: Gli italiani all’estero: un’altra categoria che verrebbe colpita dal taglio. Che ne pensa?
G.: “Gli italiani all’estero sono i primi perdenti di questa riforma. Un paradosso, perché gli iscritti all’AIRE, o i non iscritti all’AIRE che possono votare fuori dall’Italia, sono sempre di più. Invece di aumentarne il numero, vengono gravemente diminuiti. E’ una riforma che va dritta contro il bisogno di rappresentanza degli italiani in giro per il mondo, che con il loro lavoro, studi e ricerche tengono alto il nome dell’Italia nel mondo”.
E.: Secondo alcuni il dibattito sul referendum non ha ricevuto sui media nazionali la dovuta copertura, solo da poco si è cominciato a parlarne. E’ d’accordo?
G.: “Questo referendum è stato del tutto oscurato. Non mi sorprende che il 70% degli italiani al momento non conosce l’oggetto del referendum, né gli effetti del Sì o del No. ‘Conoscere per deliberare’ non vale solo per chi è al governo, ogni cittadino ha il diritto di essere informato per scegliere in maniera consapevole, specie adesso. E’ scandaloso, ma non è la prima volta. Vedo imbarazzo nel governo e nei partiti, sanno bene che è l’ennesimo atto della tragicommedia politica italiana. Molti tengono il profilo basso, diversi esponenti del Sì non partecipano nemmeno alle tribune elettorali. Ipocrisia, mancanza di coraggio e valutazione di breve periodo, tutto a danno della democrazia”.
E.: Vediamo un fronte del NO compatto, ma anche capi di partito che lasciano libertà di coscienza ai loro eletti. Quali le conseguenze?
G.: “Alcuni considerano inutile prendere posizione, altri non hanno il coraggio di dire cosa pensano, guardano ad altri equilibri. Ma non è un giudizio divino, la libertà di coscienza si invoca nel rapporto tra il singolo e Dio. Riguardo alla libertà di voto, la Costituzione la garantisce a ogni cittadino nel referendum, e non solo. E’ un balletto ipocrita attorno a una democrazia malata, che non verrà guarita ma peggiorerà”.
E.: Torniamo alla sua proposta di riforma del Parlamento italiano. Rafforzerebbe anche i suoi rapporti con quello europeo?
G.: “E’ una riforma che consentirebbe alla democrazia di funzionare meglio. Ma è anche una risposta a chi pensa di poter tagliare i parlamentari perché dal 1979 ne abbiamo 76 eletti in Europa (77 perché io sono stato eletto in Francia). Proprio grazie al Parlamento europeo la democrazia italiana dovrebbe diventare più efficiente e stabilire contatti più diretti e operativi tra quest’ultimo e il parlamento nazionale. Il Senato federale andrebbe in questa direzione, perché renderebbe i rapporti più rapidi e migliorerebbe anche il dialogo tra parlamento italiano e gli altri parlamenti nazionali, con cui quello europeo coopera sempre di più. Un aspetto che la riforma ignora completamente”.
E.: L’Europa può avere un ruolo nel salvare l’Italia da questo pericolo per la democrazia?
G.: “L’Europa ha fatto il recovery plan. Le dichiarazioni recenti del commissario Paolo Gentiloni alla Camera vanno nella direzione giusta: l’Europa deve ricordare all’Italia l’enorme responsabilità che si è assunta nel chiederlo. La democrazia europea andrebbe riformata in alcuni aspetti, gioverebbe anche al nostro Paese. E’ tempo di dare al Parlamento europeo il potere dell’iniziativa legislativa e di decidere a maggioranza su temi come fiscalità e tassazione. Di creare movimenti politici transnazionali che rafforzerebbero la democrazia sia nazionale che europea. Oggi siamo in un paradosso: abbiamo un Parlamento europeo ma solo delle forze nazionali. Ecco perché spingiamo per introdurre liste transnazionali, embrione di quei veri movimenti europei che saranno il vero compimento della democrazia europea. Una democrazia europea senza partiti europei è incompleta. Si potrebbe creare così un legame di fiducia tra cittadini e politica, che a livello europeo non esiste ancora, mentre a livello nazionale è gravemente compromesso. Con il recovery plan, l’UE fa un passo storico in avanti che dovrebbe replicare anche nel rapporto con i cittadini, lavorando sulle sue istituzioni”.
E.: Di questo potrebbe occuparsi la Conferenza per il futuro dell’Europa?
G.: “La Conferenza per il futuro dell’Europa deve cominciare il prima possibile. Il ministro tedesco per gli affari europei Michael Roth ha confermato che la presidenza tedesca intende farlo. Sono soddisfatto, ma voglio vederlo accadere. Auspicherei un avvio della conferenza già in ottobre, sfruttando strumenti e piattaforme digitali per assicurare un’ampia partecipazione dei cittadini. Non dovrà limitarsi a temi settoriali, ma prevedere una fase di ascolto dei cittadini e trattare tutto quel che è rilevante per loro, assicurando un seguito, con interventi legislativi e revisione dei trattati, se necessari. Una grande opportunità: dopo una crisi così devastante sono tanti i temi che potrebbero emergere, dalla salute, all’ecologia, al digitale, ai diritti, all’immigrazione.
Su altri temi invece le istituzioni europee si erano impegnate già prima della crisi e restano validi. Parlo delle riforme istituzionali, le liste transnazionali, l’elezione diretta o indiretta
del presidente della Commissione, il sistema degli Spitzenkandidaten. Ursula von der Leyen aveva promesso di occuparsene già prima di essere eletta, e noi eurodeputati dobbiamo tener fede agli impegni, sin dall’inizio della legislatura abbiamo detto che avremmo lavorato su questi temi, oltre che sul Green New Deal e il digitale. Avviare le riforme istituzionali dopo la Conferenza non ci consentirebbe di essere pronti per le europee del 2024, quando dovremmo presentare un’Europa nuova anche dal punto di vista dei poteri. A cominciare dal Parlamento europeo. Vorrei che i cittadini potessero votare non solo i rappresentanti dei loro territori ma anche quelli dei loro partiti e movimenti europei, con candidati comuni in tutto il continente. Questo aumenterebbe la visibilità della Conferenza, su cui dovremmo metterci subito al lavoro per rafforzare la democrazia europea e il potere dei cittadini”.
E.: Quali risposte politiche vede per l’Italia in questo momento di crisi?
G.: “Questo referendum mostra anche la frammentazione della situazione politica italiana. Qui in Europa abbiamo creato una nuova forza politica, Renew Europe, che ha raccolto progressisti, ex socialisti, liberali, conservatori europeisti, centristi. Oggi è la forza più dinamica e che spinge di più per il cambiamento, lo ha fatto con i recovery bond e lo sta facendo con la riforma delle istituzioni e le liste transnazionali. Le forze che si ritrovano nel No a una riforma populista, che è un Sì alla tutela della democrazia liberale e al recovery plan, dovrebbero occupare questo spazio di idee e di azione. Auspico quindi l’emergere di una Renew Europe Italia“.