Roma – Meno di due anni per riuscire a far rialzare Genova e la Liguria. È arrivato il giorno dell’inaugurazione del nuovo Ponte S. Giorgio, là dove il 14 agosto del 2018 crollò il ponte Morandi, viadotto Polcevera, lasciando sotto le macerie 43 vittime.
Miracolo di progettazione e realizzazione, il nuovo ponte è riuscito a tener al lato lo scontro sull’indagine giudiziaria e le responsabilità del crollo (tutt’ora in corso) e le immancabili polemiche sulla gestione. Senza sosta, operai, ingegneri e il commissario per la ricostruzione, il sindaco Marco Bucci, hanno guardato solo al traguardo finale. Dalle prime operazioni preliminari sono passati 16 mesi, 487 giorni quasi tutti a lavoro (riposo solo a Natale) per tirare su 19 campate per un chilometro e sessantasette metri di acciaio. “Può durare anche più di mille anni se verrà amato e accudito” dice oggi l’architetto Renzo Piano che ha voluto ridare la speranza alla sua Genova firmando anche un francobollo commemorativo.
Levante e ponente nuovamente unite e oggi al taglio del nastro saranno presenti le alte cariche dello Stato, il premier Giuseppe Conte e il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che prima della cerimonia ha incontrato in privato i familiari delle vittime. “La ferita non si rimargina, il dolore non si dimentica e la solidarietà non viene meno in alcun modo – ha detto alle famiglie il capo dello Stato. “E’ essenziale aprire il nuovo ponte per la città, ma questo Ponte non cancella quanto avvenuto”.
L’enfasi della parola miracolo si spiega con la poca sintonia delle grandi opere italiane con tempi così rapidi, ma anche la constatazione che con l’impegno di tutti è possibile realizzare infrastrutture senza lasciare in bianco la data di chiusura lavori. Certo, il Ponte S. Giorgio fa storia a sé, a cominciare dalle autorizzazioni rapidissime consentite dalla gestione commissariale per finire con l’affidamento diretto a Webuilding-Fincantieri. Tuttavia forse è possibile trarre qualche lezione da questa positiva gestione e lo sguardo naturalmente non può che portare al gran lavoro di progettazione del piano di rilancio finanziato dai fondi europei straordinari, all’attenzione del governo da qualche giorno e per le prossime settimane.
Le infrastrutture, specialmente i trasporti ma anche l’edilizia scolastica, il riassetto idrogeologico e la banda ultra larga, dovranno passare lo stress test della Commissione europea e non solo la prima approvazione. Le condizioni per ottenere i finanziamenti prevedono l’indicazione dei tempi di realizzazione, intermedi e finali, nonché l’impatto economico e di sviluppo di ogni intervento. Un vincolo di non poca importanza visto che a Bruxelles la lista delle opere di scarsa utilità, finanziata dai bilanci europei è parecchio lunga.
Una nuova stagione di progetti dovrà misurarsi con le nuove regole di semplificazione (decreto ancora all’esame del Parlamento) quel provvedimento chiamato forse un po’ pomposamente “Italia veloce”. Nel caso delle infrastrutture ha l’ambizione di incidere sul sistema autorizzativo, il primo e spesso insuperabile collo di bottiglia nella realizzazione delle opere, non solo le grandi ma anche quelle di media portata.
La ministra per Infrastrutture e trasporti Paola De Micheli riconosce che “gli ostacoli alla realizzazione, da più di un decennio, sono dipesi da deficit di progettazione, da una scarsa condivisione delle scelte e da procedure autorizzative troppo lunghe”. Un processo decisionale “non sempre trasparente e razionale”, che ha portato a progettazione eccessiva e tempi e costi di realizzazione maggiorati. Ancora una volta, superare questi ostacoli non è solo una necessità di allinearsi ai livelli medi europei per gli investimenti, ma soprattutto dimostrare la capacità politica di indirizzare le scelte su una spesa pubblica di qualità.