La questione ucraina mostra ancora una volta quanto la lingua sia un elemento fondamentale nella definizione identitaria dell’individuo, in particolar modo in Europa. Alla fine dei conti, lo scontro fra Russia e Ucraina si riduce alla percezione che, in Ucraina, i cittadini ucraini e quelli russi hanno di sé.
È con la scusa di tutelare i suoi connazionali russi in Ucraina che Putin ha accerchiato le caserme della Crimea. Ed è stato un errore fatale da parte del nuovo governo ucraino quello di negare l’ufficialità alla lingua russa nelle regioni orientali del paese. Senza questi argomenti, il despota russo avrebbe avuto difficoltà a giustificare il suo intervento. E ora il referendum di secessione su questo si consumerà: sulla separazione di quel che è russo e di quel che è ucraino in Crimea. Una differenza che a prima vista non c’è, ma che cova nella cenere e che Putin ora attizza perché gli offre lo spunto per esercitare la sua ingerenza sull’Ucraina. Come si distingue un russo da un ucraino? Essenzialmente solo dalla lingua.
Prima ancora della religione dunque, in Europa è ancora la lingua a portare l’essenza della nostra identità. Perché nella lingua riponiamo la distinzione nazionale, il nostro sentirci comunità solidale. Cento anni dopo la Prima guerra mondiale ci sono ancora tutti, in certe aree del continente europeo, i semi di quella discordia che portò alla dissoluzione di tre imperi, alla fine della nostra supremazia nel mondo e alla morte di 20 milioni di persone. Ma mentre nell’Unione europea una sapiente politica di parità linguistica e un ufficiale riconoscimento di tutte le lingue hanno neutralizzato la questione, appena fuori dai nostri confini la lingua resta una materia incandescente. Il vuoto democratico della Russia post-sovietica e l’illegalità dilagante nei paesi che stanno nella sua orbita fanno il resto.
Abbiamo visto tutti in televisione l’aggressività dell’ufficiale russo che sparava per aria minacciando i soldati ucraini disarmati che si avvicinavano alla loro caserma. Abbiamo visto nei suoi occhi l’odio cieco dei pogrom, che avvampa immotivato e bestiale, lontano da ogni ragione perché si alimenta dell’irrazionale che sta nel patto di sangue, nel mito etnico proprio di ogni costruzione nazionale. Come nel 1914, riecco che ancora oggi una società apparentemente uniforme si cerca addosso la differenza per separarsi e la trova nella lingua. Ci sono tante cose che accomunano russi e ucraini e che li rendono simili fino a poter essere considerati uguali. Ma oggi gli uni e gli altri cercano invece le differenze e non ha più voce fra loro chi si rivendica di identità mista. Come accadde a chi si professava iugoslavo quando scoppiarono le guerre etniche in Iugoslavia. Ogni uguaglianza si dissolve davanti alla lingua, perché perfino per i bilingui una sola è la lingua madre.
Tutto questo ancora di più ci deve mettere in guardia contro il potenziale esplosivo che si nasconde nel nazionalismo e ci deve spingere a recidere il più a fondo possibile i canali che lo nutrono, primo fra tutti la discriminazione linguistica. Per questo la via europea al multilinguismo e alla condivisione delle lingue è una scelta virtuosa e va perseguita con ancor maggiore determinazione. È condividendo le lingue che neutralizziamo la loro carica divisiva, è strappandole alle ideologie nazionali che impediamo ai razzismi sempre dormienti di riprendere il sopravvento. Il caso ucraino mostra ancora di più quanto abbiano torto coloro che considerano il multilinguismo europeo un sistema impraticabile e uno spreco. Banalizzando le differenze e mettendo ogni lingua sullo stesso piano, nell’Unione europea siamo riusciti a disinnescare un potente meccanismo di disintegrazione. Meglio placare le mai sopite ubbie dell’onore nazionale con una cabina di interpretazione che con un carrarmato. Ma sarà quando le nostre lingue non saranno più solo nostre che saremo veramente al sicuro. Sarà quando l’italiano non sarà più solo degli italiani e il tedesco non più solo dei tedeschi e il francese e ogni altra lingua non avranno più frontiere certe ma saranno parlati da europei di ogni provenienza che l’Europa non potrà più spaccarsi come oggi accade invece all’Ucraina.
Diego Marani