Roma – Per ora è poco più di un guscio ma l’applicazione che dovrà servire a tracciare la pandemia da Coronavirus in Italia ha già scatenato un dibattito molto acceso. Si chiama “Immuni”, nome evocativo nel suscitare ottimismo, e il primo interrogativo che ha sollevato è ovviamente quello della privacy, tasto molto delicato per i dati sanitari, classificati tra i più sensibili.
È corretto per ora sospendere valutazione definitive visto che non sono ancora noti tutti i dettagli tecnologici e le specifiche di quest’applicazione che il governo sta predisponendo con l’ausilio di una task force coordinata dal ministero dell’Innovazione. Un guscio, appunto, che in base a che cosa si vorrà mettere dentro può diventare molto utile ma anche molto invasivo per le nostre libertà personali.
Nei giorni scorsi la Commissione europea ha indicato una serie di raccomandazioni e gli Stati membri hanno elaborato un pacchetto di strumenti per l’uso di applicazioni mobili utili al tracciamento e di allerta per interrompere la catena di trasmissione del virus. Indicazioni in sintonia con gli orientamenti per la protezione dei dati forniti dal Garante europeo.
In un caso specifico come la lotta alla pandemia alcuni aspetti del diritto alle libertà personali possono essere limitati ma l’intervento deve essere proporzionato e circoscritto nel tempo. Nelle fasi caratterizzate dalle tre T (Testing, Tracking, Treatment) i dati raccolti devono essere anonimi, le adesioni devono essere volontarie e il tracciamento deve escludere la localizzazione GPS privilegiando la tecnologia Bluetooth.
Ma quale sarà la soluzione adottata, “servirà una norma di legge specifica” dice il Garante per la privacy Antonello Soro, secondo il quale “le rassicurazioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte vanno nella giusta direzione”. Tuttavia prima di dare un parere l’Autorità garante attende che siano definiti i dettagli con cui l’app verrà modulata.
Intervento proporzionato significa che l’applicazione deve cessare di essere operativa quando è terminata la sua funzione e gli stessi dati cancellati.
Sul loro trattamento restano aperti ancora alcuni aspetti che riguardano la loro conservazione anche se temporanea, cioè se su unico canale centralizzato o al contrario in forma decentralizzata. La differenza è sostanziale perché nel primo caso i dati criptati sono generati dal server mentre nel secondo dai dispositivi, una soluzione che garantisce maggiormente la loro protezione.
Privacy, efficacia e compatibilità, tre esigenze da tenere insieme e condizionate dai due sistemi su cui dovrà girare l’applicazione, Android e iOS. Di questo hanno parlato mercoledì il commissario al mercato interno e strategia digitale Thierry Breton con il CEO di Apple Tim Cook, condividendo la necessità di garantire che le app di tracciamento siano anonime, volontarie, trasparenti, temporanee e sicure. Un filo comune dovrà essere trovato anche con l’altro colosso Google, perché è evidente che le applicazioni che si stanno sviluppando in queste settimane in tutti gli Stati membri devono poter funzionare con la loro collaborazione e poter dialogare tra loro in relazione agli spostamenti intracomunitari dei cittadini europei. Questione che interessa in particolare l’Italia e la sua industria turistica.
Più saranno sicure più saranno efficaci. L’utilità delle app di tracciamento è legata indissolubilmente alla fiducia e di conseguenza alla loro massima diffusione. “Un elemento che conta molto – spiega il garante Antonello Soro – se viene percepita come obbligo e non gradita, a quel punto il cittadino lascia lo smartphone a casa e viene meno qualunque efficacia”.
Fiducia necessaria a derogare temporaneamente alcuni limitati ambiti della libertà personale, ma Soro avverte che “proprio perché stiamo entrando sempre di più in una dimensione digitale è necessario avere delle regole di garanzia di questo sistema”. Quindi è sbagliato “partire dall’assunto che poiché le imprese private digitali ormai ci tracciano molto, tanto vale andare verso la Cina che è l’estremo del controllo sociale”.