Bruxelles – C’è la consapevolezza che molto è già stato fatto, ma che nonostante quanto già fatto altro ancora si rende necessario. Si rimane pronti a fare tutto ciò che serve, ma servirà tempo per capire come, e dunque per il momento va bene così. L’Eurogruppo si conclude con un rinvio delle decisioni importanti, i ministri economici dei Paesi con la moneta unica (stasera riuniti insieme agli altri dei Ventisette) sono d’accordo sul fatto che vanno bene le iniziative della Banca centrale europea (nuovo Quantitative Easing da 750 miliardi di euro per tutto il 2020) e della Commissione europea (sospensione del patto di stabilità, revisione delle regole sugli aiuti di Stato, massima flessibilità sui conti), ma sui nuovi passi avanti che pure servono per ora non ci si muove.
Quello che forse spiega meglio che quanto messo in campo finora non basta è probabilmente Paolo Gentiloni. “Le decisioni di queste ultime settimane e di questi ultimi giorni sono dei passi che fanno parte di un piano più ampio, un piano di ricostruzione europea”, dice il commissario per l’Economia al termine della videoconferenza. Si rendono necessarie ulteriori misure, e non c’è dubbio che “i Coronabond sono sul tavolo”. Il problema è che non c’è ancora il consenso politico per far decollare le garanzie comuni dell’area euro. “Per decidere servono compromessi, e dobbiamo continuare a lavorare”.
Tutto fermo, allora. Nell’impossibilità di una decisione su uno strumento su cui alcuni spingono – in particolare l’Italia – e su cui invece altri frenano – su tutti Paesi Bassi e Danimarca, con la Germania a mandarli avanti – il presidente dell’Eurogruppo, Mario Centeno, si vede costretto a lasciare la patata bollente ai leader. E’ a loro, che questo giovedì (26 marzo) si riuniranno in teleconferenza, che lascia il compito di tracciare la rotta. Segno che l’Europa degli Stati si è inceppata di nuovo.
Centeno appartiene a quella famiglia politica convinta che occorra “esplorare tutte le iniziative necessarie per la ripresa” dell’economia, e in questo senso “nessuna soluzione particolare è stata accantonata”. Riferimento ai Coronabond, opzione su cui nell’eurogruppo di oggi (24 marzo) è mancata la convergenza. “Abbiamo iniziato a valutare ogni possibilità per rispondere alle sfide dinanzi a noi”, dice a riprova della natura interlocutoria della riunione.
Da una parte, ufficialmente, c’è chi ritiene che quanto già fatto finora “è considerevole”. Obiettivamente sospendere il patto di stabilità, riscrivere in senso più permissivo le regole sugli aiuti di Stato e attivare un bazooka da 750 miliardi di euro liquidi nell’economia non poco. Solo che non è abbastanza. “Abbiamo una crisi senza precedenti, simmetrica”, ricorda Centeno. “Questa non è la crisi di un Paese e di un gruppo di Paesi, è una crisi umana devastante che riguarda tutti”. La risposta comune sarebbe allora la cosa più logica. Però… C’è un però.
La storia è la stessa, e non è nuova. C’è la percezione che gli Stati Mediterranei sappiano solo spendere e chiedere aiuti. E’ una favola già nota. Quando nel marzo del 2017 l’allora presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, un olandese, se ne uscì dicendo “non puoi spendere tutti soldi per alcol e donne e poi chiedere aiuto”, quasi perse il posto. Ma fece sapere a tutti cosa i nordeuropei pensano del resto dell’Unione. Non ci si fida, e non ci si vuole fare carico del debito sovrano di altri governi ritenuti più spendaccioni e meno virtuosi.
Bisognerà però trovare un modo per superare divisioni e considerazioni. “Ci sarà recessione nell’area euro e nell’Ue nel 2020”, ricorda Gentiloni. “Il livello di questa recessione è strettamente correlato alla durata della diffusione del virus”. E delle risposte che si sapranno trovare.
L’Eurogruppo suggerisce il ricorso alla linea di credito precauzionale del fondo salva-Stati ESM, ma l’operazione appare rischiosa per chi deve rivenderla alla propria opinione pubblica. Il Meccanismo europeo di stabilità ha una capacità di prestito di 410 miliardi di euro, ma è considerato un ‘mostro’ soprattutto dagli euroscettici. Prendere soldi dall’organismo di Lussemburgo vuol dire sottostare a condizioni precise e rigide, e la crisi greca con il trattamento riservato ad Atene è un qualcosa di ancora molto vivo nelle società di tutta l’Unione.