Può sembrare fuori luogo parlare di Europa in piena crisi di coronavirus. Eppure, forse mai, nemmeno durante le fasi peggiori della recente crisi economico-finanziaria, l’Europa c’entra, eccome. Per due motivi apparentemente diversi: l’epidemia di coronavirus e la crisi umanitaria di migliaia di profughi siriani in fuga dalla guerra e bloccati al confine turco-greco.
Al momento in cui scrivo, mentre il virus avanza implacabile in Italia, l’infezione si estende progressivamente in Spagna, Francia, Germania e sta bussando alle porte di altri Paesi europei. L’impressione è che ogni Paese si accinga a mettere in atto misure proprie, tra superficialità di valutazione iniziale e progressiva presa di coscienza della gravità dell’epidemia.
Da una considerazione iniziale sospettosa e diffidente da parte dei partner europei, l’Italia sta diventando ora, suo malgrado, modello da seguire per la radicalità delle misure adottate che, probabilmente, potranno anche essere ulteriormente rafforzate. Quello che, tuttavia, sorprende e preoccupa, è la mancanza di coordinamento delle iniziative che dovrebbe essere promosso dalla Commissione in collaborazione con Parlamento e Consiglio europeo.
L’articolo 168 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) dettaglia una serie molto precisa di iniziative che riguardano le politiche sanitarie che gli Stati membri possono mettere in campo in stretta collaborazione con la Commissione. Ciò che finora è vistosamente mancato, creando non poche difficoltà non solo all’Italia, primo Paese europeo colpito dall’epidemia, ma anche al resto dell’Europa dove ognuno decide a casa propria senza coordinamento di misure, di tempi, di mezzi, di personale. Un esempio di stupefacente superficialità e disunione.
La stampa europea, quella europeista, è abbastanza concorde nel sottolineare questa assenza dell’Unione. Recita testualmente il quotidiano francese Libération di domenica 15 marzo: “Mentre le frontiere vengono chiuse dappertutto nel vecchio continente, il ciascuno per sé degli Stati rischia di avere conseguenze economiche e sociali disastrose dopo la pandemia. Le misure sanitarie variano fortemente da uno Stato all’altro, come pure le misure di sostegno all’economia. Tutto avviene come se l’Unione non esistesse più, ciascuno decidendo per conto suo. La pandemia di coronavirus avrà ragione della costruzione comunitaria più dei nazional-populisti?”
Gli fa eco il quotidiano belga Le Soir: “Di fronte all’epidemia di coronavirus, l’Unione è apparsa lontana dai problemi dei cittadini: una autorità burocratica incapace di interventi concreti. Non c’è stata né solidarietà, né supervisione. Una triste lezione che gli italiani, in modo particolare, non dimenticheranno. Avevano chiesto mascherine, guanti, occhiali protettivi di plastica; l’Italia ha chiesto aiuto per costruire la barriera più semplice contro il coronavirus. Francia e Germania hanno chiuso le loro frontiere a questi prodotti impedendone l’esportazione e inviandoci un segnale inquietante: nessun sostegno concreto, sia pur minimo, sarebbe arrivato da Bruxelles”.
Parole durissime dei due quotidiani contro la confusione e l’inazione dell’Unione europea. In queste ultime ore pare che la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen si sia finalmente svegliata invitando a non bloccare le frontiere per i prodotti sanitari e proponendo la creazione di un fondo da 25 miliardi per sostenere le imprese e flessibilità sul deficit che l’Italia potrebbe ritoccare.
Pannicelli caldi che, probabilmente, non saranno sufficienti nemmeno per l’Italia, dato il pesantissimo impatto che la pandemia avrà sull’economia e sulle relazioni sociali del nostro Paese. E’ assai probabile che una crisi di sistema possa colpire l’insieme dei Paesi europei. E data l’inesperienza e l’inettitudine (leggi Presidente della Banca centrale europea) dei nuovi leader europei, l’Europa corre un rischio assai più pesante di quello causato dalla crisi economico-finanziaria degli anni scorsi.
Eppure la rotta per consolidare l’Unione e metterla al riparo da scossoni e terremoti di vario genere è già stata tracciata: completamento dell’unione bancaria, governo efficace della zona euro con un ministro delle finanze e un budget significativo sostenuto da eurobond a sostegno delle economie più deboli in funzione anticiclica, un effettivo coordinamento delle politiche economiche e fiscali, un Parlamento con funzioni di controllo democratico delle scelte di politica economica, monetaria e fiscale.
Queste le sfide che Parlamento, Consiglio europeo e Commissione sono chiamate a proporre e a far accettare ai Paesi membri. Su queste sfide i cittadini europei misureranno e giudicheranno le competenze e l’autorevolezza dei nuovi leader preposti alla guida delle istituzioni comunitarie.
Ma c’è una seconda, gravissima emergenza che mette in questione i comportamenti dell’Unione e riguarda le migliaia di persone che si trovano in pericolo al confine tra Grecia e Turchia: nei campi del mare Egeo i fuggitivi vengono parcheggiati in condizioni indicibili. Non c’è bisogno alcuno di aspettare un’illusoria unanimità sulla protezione temporanea che altro non è che un atto di elementare decenza, secondo quanto scrivono accademici e intellettuali in un recente appello.
“Basta un solo Stato membro dell’Ue per attivare tale procedura, prevista dal diritto europeo. Se nessuno di essi agisce in tal senso, spetta al Presidente della Commissione, in quanto custode dei trattati, di assumersi gli obblighi del proprio mandato e, se necessario, spetta al Parlamento europeo di mettere la Commissione di fronte alle sue responsabilità.
La costruzione europea nata dalle catastrofi identitarie del XX secolo e dalle lezioni che esse hanno impartito, ha come unica legittimità il rispetto del diritto su cui si fonda. Immaginare che la si possa proteggere dall’ascesa del nazional-populismo calpestando i diritti fondamentali è il peggiore dei calcoli che si possa fare”.
E’ urgente e doveroso richiamare alla loro responsabilità e ai loro impegni gli Stati membri, la Commissione, il Parlamento europeo. Se vogliamo garantire un futuro alla Casa comune europea.
Vittorino Rodaro è stato per molti anni il capo dell’Ufficio di rappresentanza del Trentino presso l’Unione europea. E’ commentatore di questioni europee per alcune testate giornalistiche.