Bruxelles – L’Italia è ventesima in Europa per il grado di digitalizzazione dei servizi sanitari, nettamente nella seconda metà della classifica, al di sotto degli altri principali Stati membri dell’Unione: basta pensare che la Spagna è sesta, la Germania undicesima e la Francia quindicesima. In assoluto, però, le performance migliori le fanno registrare Danimarca, Olanda e Finlandia mentre al contrario, le peggiori, Romania, Polonia e Bulgaria.
E’ una fotografia piena di ombre quella che emerge dallo studio dal titolo “Innovative Europe. The Way Forward”, condotto dall’Istituto per la Competitività (I-Com) e presentato oggi a Bruxelles in una conferenza alla quale hanno partecipato oltre 20 relatori in rappresentanza della politica, delle istituzioni e del mondo produttivo e associativo. Il rapporto si concentra, in particolare, sullo sviluppo della cosiddetta eHealth, ovvero della sanità digitale. E quindi, ad esempio, la possibilità di prenotare visite mediche online o di utilizzare lo smartphone per interagire con gli ospedali e le strutture sanitarie. O ancora la disponibilità di una semplice password per svolgere tutte le possibili procedure, da quelle più semplici a quelle più complesse. Un settore nel quale il nostro Paese a dir poco non eccelle, come emerge dallo studio.
“Le difficoltà che l’Italia fa registrare dipendono innanzitutto dalla frammentazione delle competenze in materia tra i diversi livelli di governo coinvolti e le regioni”, ha spiegato il presidente dell’istituto Stefano da Empoli che ha curato il rapporto. Secondo l’economista, “la mancanza di coordinamento, insieme a un trend decrescente degli investimenti pubblici in Ict, spiega il ritardo dell’Italia”. Per questo – ha aggiunto – “occorre uscire da logiche provinciali e di corto respiro per riuscire a misurarsi con successo in Europa. Un limite che non riguarda solo la salute ma che si estende anche ad altri settori della pubblica amministrazione italiana che avrebbe bisogno di puntare con decisione sulla digitalizzazione per aumentare l’efficienza e migliorare la qualità dei servizi offerti ai cittadini”.
Lo studio affronta più generalmente il tema dell’innovazione a livello europeo, con tre focus specifici: la salute, appunto, e poi anche il digitale e l’energia. Due gli obiettivi in questo senso: informare le istituzioni sullo sviluppo di questi tre settori cruciali e formulare raccomandazioni per contribuire al varo di una normativa davvero orientata alla competitività.
E le notizie non sono buone neppure sul fronte del digitale. Secondo i dati diffusi dalla Commissione europea, in Italia la digitalizzazione cresce a ritmi troppo lenti rispetto alla media. Si tratta di una trasformazione in cui l’economia dei dati è centrale: nel 2018 il suo impatto è stato pari a 377 miliardi di euro in Europa e si stima che, da qui al 2025, possa arrivare a sfiorare i 680 miliardi, con una crescita di oltre l’80%. Ma l’Italia è ancora indietro: siamo al diciottesimo posto in classifica, nettamente al di sotto della media europea. Entro i prossimi sette anni, in alcuni Paesi l’impatto dei dati sull’economia sarà, invece, piuttosto significativo: è il caso di Estonia, Svezia, Olanda e Regno Unito in cui l’effetto sarà compreso tra il 5 e il 10%, contro una media europea di poco superiore al 4. E la strada per l’Italia appare lunga e in salita pure nel campo dell’intelligenza artificiale: si pensi che delle oltre 760 start-up europee attive nel settore, solo 22 sono italiane.
Infine, il rapporto dedica un focus anche al settore energetico. Secondo gli analisti dell’istituto, nonostante gli impegni assunti a partire dal 2015 con l’accordo di Parigi sul Cambiamento climatico, il divario tra le politiche intraprese e gli obiettivi prefissati al 2050 è ancora ampio. Dopo il raggiungimento del record storico nel 2018, le emissioni inquinanti continuano a salire. A pesare sono soprattutto le grandissime differenze regionali: se l’Unione europea ha registrato buone performance sul fronte della riduzione delle emissioni – dal 2008 al 2017 sono diminuite di circa il 30% – lo stesso non si può dire per Paesi come la Cina e l’India. D’altro canto, nello stesso periodo, nel Vecchio continente la quota di energia rinnovabile ha raggiunto il 17,5% mentre la percentuale più alta tra i maggiori Paesi europei è stata registrata in Italia: nel nostro Paese oltre il 18% dell’energia prodotta deriva da fonti rinnovabili.