Bruxelles – La ricerca non è il fiore all’occhiello d’Italia. Se c’è una cosa che nel Paese manca è un sistema competitivo e all’avanguardia per lo studio di innovazione tecnologica. Un dato non nuovo, ma certificato una volta di più dalla graduatoria dei migliori talenti stilata dalla Commissione europea. L’esecutivo comunitario ha deciso di sostenere i migliori 301 ricercatori europei ed extraeuropei che partecipano ai programmi comunitari (Israele, Norvegia, Svizzera e Turchia) con 600 milioni di euro, per sostenere in parte le spese delle attività.
I conti non tornano. L’Italia, che pure resta nel gruppo del G7, fa tanta fatica ad emergere. Si contano appena sette ricercatori d’Italia nell’intera graduatori. Per dare un’idea del problema, basta notare come Germania vanti 51 ‘top researchers’, il Regno Unito 50, la Francia 43. Non finisce qui. I Paesi Bassi vedono premiati 32 studiosi, la Svizzera 23, la Spagna 12, la Svezia 10. Anche Belgio e Danimarca possono vantare più ricercatori di talento dell’Italia (9 ciascuno).
Non è un problema di imprese e grandi imprese. Certo in Svizzera si trova il CERN, l’Organizzazione europea per la ricerca nucleare, a Kaiserslautern si trova il centro di ricerca tedesco sull’intelligenza artificiale, ma il problema è di natura universitaria. Un elevato numero di ricercatori d’eccellenza proviene da atenei. Un elemento che a questo punto inchioda il sistema di ricerca universitario tricolore alle proprie responsabilità. Ci sono pochi poli di ricerca vera nel Paese, cha fa fatica a tenere il passo con il resto d’Europa. Non a caso il meglio dell’Italia della ricerca non si trova in Patria.