Bruxelles – Ancora patemi per la Commissione von der Leyen. Il Parlamento europeo non consente di far tirare un sospiro di sollievo, perché non procede alla nomina di Olivér Várhelyi. Il candidato al portafoglio dell’Allargamento non ha convinto i deputati europei della commissione Affari esteri, che tengono in sospeso il verdetto sull’ungherese legandolo alle risposte scritte che dovrà inviare a Bruxelles entro e non oltre lunedì 18 novembre.
Un voto, quello di oggi, che dimostra la difficoltà nell’assemblare una squadra, un dato che grava tutto sulla presidente eletta Ursula von der Leyen. Un voto che soprattutto mostra riposizionamenti politici. Decisivo per evitare il passaggio dell’ungherese (30 favorevoli, 48 contrari), il blocco liberali (RE)-Verdi-Sinistra radicale (GUE) e socialisti (S&D). A sostenere l’uomo vicino al premier ungherese Viktor Orban i popolari (PPE) e conservatori (ECR), con l’appoggio dei sovranisti.
L’Europa ormai vira a destra. Questa l’indicazione che si può ricavare da un voto che mantiene l’esecutivo comunitario in divenire ancora zoppicante. Von der Leyen perde pezzi, ovunque si volta. E continua a non conquistare le forze dichiaratamente pro-europeiste. La risicata maggioranza che l’ha sostenuta a luglio è ancora più risicata, e dopo le defezioni dei socialisti sconta ora anche quelle dei liberali. Proprio questi ultimi probabilmente stanno mettendo in atto una resa dei conti per la bocciatura di Sylvie Goulard. Da quel rifiuto ci hanno guadagnato i popolari. Thierry Breton, il nuovo candidato al super portafoglio che racchiude mercato interno, industria, difesa e digitale, proviene dall’UMP di Nicolas Sarkozy (oggi divenuto il partito I Repubblicani), aderente al PPE.
Alla fine il presidente francese Emmanuel Macron ottiene il super-commissario che voleva. Il blocco PPE-S&D-RE-ECR sostiene l’ex amministratore delegato di Atos. Altri numeri, altre convergenze per von der Leyen, che troverà un campo quanto mai minato il giorno in cui il suo esecutivo dovesse entrare in funzione.
Dei tre commissari designati ascoltati dai parlamentari si considerava il francese come il più delicato. La commissione Giuridica l’aveva ‘assolto’ dalle accuse di conflitti d’interesse con un voto appena. Breton si è presentato in audizione con una maggioranza tanto risicata quanto poco scontata. Alla fine tutto da copione. Le barricate le hanno alzate Verdi e sinistra radicale. Non ha convinto tra i non iscritti, in particolare la truppa pentastellata.
Breton però ha dato la parola di fare tutto il possibile in ognuno dei settori su cui lavorerà. Ha portato in aula, sventolandole, le carte che dimostrano che si è disfatto di tutte le partecipazioni e le quote azionarie di imprese. Intorno a lui il clima è risultato costruttivo. Non sono arrivati attacchi sul conflitto d’interesse. O meglio, sono stati molti meno rispetto alle domande nel merito dell’agenda di lavoro. Segno che c’è la voglia di lavorare assieme.
Passa anche la commissaria designata per i Trasporti, la romena Adina Valean. Non ha offerto una bella audizione. E’ risultata molto vaga su questioni chiave come il pacchetto mobilità e l’agenda per la grandi reti (Ten-T). Ciò nonostante incassa la fiducia dei parlamentari.
Ora a von der Leyen manca poco, veramente poco, per poter chiedere all’Aula un voto di fiducia in tempi utili per iniziare i lavori l’1 dicembre. Ma è un molto poco numerico. Manca il commissario ungherese, al momento sospeso. Ma soprattutto manca il membro britannico. Non proprio poco. Anzi.
Ma c’è un altro elemento che salta agli occhi. Lo scontro politico trasversale e senza quartiere che dilania questa Europa. C’è uno scontro tra la Francia di Macron e le altre forze in gioco. C’è un’anima sovranista mai così ingombrante. In questo gioco va ricordato che l’ungherese Várhelyi non corre per un posto qualunque. Corre per gestire le politiche dell’Allargamento.
L’Eliseo, con il suo rifiuto ad avviare i negoziati di adesione con Albania e Macedonia del Nord, ha chiaramente detto di voler gestire l’allargamento secondo tempi, canoni e interessi squisitamente francesi. E’ chiaro che a Budapest e a Parigi le sensibilità per l’area balcanica non è la stessa. Il mancato via libera al candidato ungherese, uomo vicino ad Orban, potrebbe essere un sintomo di questa contrapposizione politica che finora si è consumata sottotraccia. Comunque vada per von der Leyen e la sua Commissione non promette bene.