Bruxelles – ‘Made in Israel’, non è un’indicazione sufficiente: in etichetta va indicato anche se il prodotto viene da un territorio occupato da Israele, specificandone il nome. Lo stabilisce la Corte di giustizia dell’UE, nella sentenza che sarà destinata a far discutere, soprattutto in Medio Oriente. Perché si tratta di un pronunciamento che avrà implicazioni commerciali (i prodotti provenienti da Cisgiordania e Golan non godono dei benefici doganali, ai sensi dell’accordo di associazione UE-Israele), così come politiche.
La Commissione europea a novembre del 2015 aveva deciso di apporre i precisi ‘distinguo’ sulle etichette dei prodotti israeliani provenienti da quel territorio che l’UE non riconosce come parte integrante dello stato di Israele. Bruxelles non riconosce l’occupazione di Israele in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza, a Gerusalemme Est e sulle Alture del Golan. Un’iniziativa che aveva prodotto le ire di Israele.
Adesso i giudici confermano la validità dell’impianto normativo comunitario. Bisognerà sempre riportare in etichetta l’insediamento israeliano all’interno del territorio occupato. La ragione deriva dalla nozione di Stato. Stato, rilevano i giudici di Lussemburgo, designa un’entità sovrana che esercita, all’interno dei suoi confini geografici, la pienezza delle competenze riconosciute dal diritto internazionale. Per quanto concerne il termine “territorio”, invece, dalla formulazione del codice doganale dell’Unione risulta che esso “designa entità diverse dai Paesi e, di conseguenza, diverse dagli Stati”. Dunque, spiega la Corte “gli alimenti originari dei territori occupati dallo Stato di Israele devono recare l’indicazione del loro territorio di origine accompagnata, nel caso in cui provengano da un insediamento israeliano all’interno di detto territorio, dall’indicazione di tale provenienza”.