La battaglia che si sta tenendo nel Consiglio dei ministri dell’UE sull’approvazione della proposta della Commissione europea intesa a garantire contratti scritti e stipendi minimi ai tirocinanti rivela ancora una volta dove sta l’interesse del cittadino europeo e chi lo difende.
Non sono certo i nostri Stati nazionali ad avere a cuore la questione del lavoro quando 24 governi su 28 si oppongono a una proposta che rilancerebbe l’occupazione giovanile in Europa. È ancora una volta la Commissione europea, pur indebolita e azzoppata dai tagli di bilancio e dal ruolo di capro espiatorio universale cui è costretta, che si conferma l’unica garanzia di futuro per i popoli europei. Solo un’istituzione che guardi all’interesse generale dell’Unione europea e che non sia sottoposta alla pressione della contingenza può adottare decisioni che siano il frutto di una visione e di un progetto politico a lungo termine.
La vicenda del quadro di qualità dei tirocini rivela ancora una volta la flagrante anomalia dello strapotere assunto dal Consiglio dei ministri dell’UE che di fatto è divenuto l’organo direttivo dell’Unione. Con la discutibile scusa della maggiore rappresentanza democratica dei suoi membri, rispetto ai commissari europei, il Consiglio ha ormai da anni dirottato la politica europea in una direzione governativa dove la linea che emerge non è il maggiore interesse generale della società europea ma quella preferita dal governo più forte. Quel che orienta le scelte del Consiglio non è il progetto comune ma il puro braccio di ferro dove per il più forte è facile mettere in riga i piccoli stati, comperandoli o ricattandoli. Questa sì, senza essere dichiarata, è un’Europa a due velocità.
Oggi ancora una volta la decisione del Consiglio dei ministri sta andando in una direzione che favorisce i grandi interessi economici e finanziari che non vogliono perdersi l’opportunità di poter sfruttare il lavoro giovanile, e non solo quello. Un sistema che impedisce ai giovani di assumere prestiti, di versare contributi per la pensione, di pagarsi un’assicurazione malattia, insomma, di costruirsi un futuro. Questa miope visione a corto raggio non è solo profondamente ingiusta ma è anche suicida, perché così facendo i nostri governi distruggono le fondamenta della nostra società. La coesione di una società non si decreta con una parità di bilancio, ma come diceva Ernest Renan, si basa su un quotidiano plebiscito, una costante affermazione di adesione. Come possono i nostri giovani provare appartenenza ad un sistema che nega i loro diritti fondamentali, che non li riconosce neppure come lavoratori?
L’opera di disgregazione che questa sprovveduta politica sta provocando è sotto gli occhi di tutti. L’individualismo dilaga, ma non quello inteso come sano anelito al miglioramento della propria condizione, bensì quello fatale del rifiuto di ogni responsabilità nella corsa all’accaparramento di un minimo vitale. Non c’è più nella società europea il collante che spinge alla solidarietà, al lavorare insieme, al fare e al dare senza immediato vantaggio ma nella fiducia di un futuro progresso comune, anche se non sarà fruibile per noi ma per le nuove generazioni. Così le nostre istituzioni, e di conseguenza i nostri apparati statali, si stanno tutti trasformando in agenzie senza volontà dove tutto è misurato nei falsi termini di una produttività e di un’efficienza avulse da qualsiasi progetto, cieche procedure di cui ci si affanna a ostentare la trasparenza per nascondere il vuoto che le domina.
Diego Marani