Bruxelles – Il prepensionamento dei giudici in Polonia lede il diritto dell’Unione. La misura introdotta dal governo di Varsavia suscita “dubbi” per quanto riguarda la difesa dello Stato di diritto, poiché il ministro della Giustizia avrebbe il potere di “escludere a propria discrezione taluni gruppi di giudici” una volta raggiunta l’età pensionabile. La Corte di giustizia europea boccia la riforma del sistema giudiziario a firma Diritto e Giustizia (PiS), il partito sovranista di Jarosław Kaczyński, e accoglie il ricorso della Commissione europea.
I giudici contestano praticamente l’intero impianto della riforma del 2017, che abbassato l’età pensionabile da 67 anni a rispettivamente 60 anni per le donne e 65 anni per gli uomini. C’è un problema di genere, innanzitutto. L’introduzione di un’età differente tra uomo e donna per il pensionamento suscita dubbi in termini di discriminazione. Si ritiene che la misura in questione abbia violato l’articolo 157 del trattato sul funzionamento dell’UE, secondo cui ogni Stato membro deve assicurare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro.
Rimane centrale poi la questione dell’indipendenza della magistratura. Per quanto riguarda i giudici dei tribunali ordinari “è di primaria importanza preservare la loro indipendenza”, rileva la Corte. Il potere attribuito al ministro della Giustizia di decidere sull’entrata e uscita in servizio dei giudici lede questo principio.
La sentenza di oggi ricalca quella dello scorso giugno, quando la Corte di Lussemburgo bocciò la riforma della Corte costituzionale polacca, per cui il governo di Varsavia aveva previsto un analogo abbassamento dell’età pensionabile.
La Polonia dovrà adesso disapplicare la riforma introdotta nel 2017. Se non dovesse farlo la Commissione potrà rilevare l’inadempimento dello Stato membro e chiedere alla Corte di giustizia dell’UE di comminare una multa.