Il mondo ha accolto con sollievo la notizia dell’uccisione del califfo al Baghdadi, l’irriducibile capo dell’ISIS. Un duro colpo inferto all’organizzazione terrorista che ha seminato morte e distruzione in Medio Oriente come in Europa. Ma nell’impresa felicemente portata a termine dalle forze armate americane, l’eroe non è il soldato che ha lanciato il missile nel tunnel dove si era rifugiato il trucido capo dell’ISIS, non è la spia kurda che ha rivelato ai marines il nascondiglio del ricercatissimo guerrigliero, no. Il vero eroe è quello sconosciuto agente segreto che lavorando nell’ombra, allo sprezzo di ogni pericolo è riuscito a rubare le mutande al califfo del terrore e così comprovare la sua identità attraverso l’esame del DNA.
Nella storia militare mai incursore è stato capace di tanto. Al confronto, le imprese dei più audaci 007 sembrano esercitazioni di boy-scout. La vicenda ricorda una favola dei fratelli Grimm, dove un intraprendente giovane riesce a andare a casa di un orco feroce e a sottrargli i tre capelli d’oro che aveva in testa. Ma qui si tratta di ben altro che di capelli. È noto che un mujaheddin in servizio attivo si allontana molto raramente dalle sue mutande e ben di rado si fa sorprendere senza. Ma soprattutto si può immaginare in che condizioni fossero gli slip o i boxer o chissà il perizoma del califfo dopo anni di combattimenti nel deserto, dopo sudate colossali e marce forzate, dopo diarree, condilomi e proctalgie a più di tremila chilometri dal primo bidè utile. Manipolare le mutande di al Baghdadi doveva essere più pericoloso che distillare un litro di polonio, che rotolarsi in un cassonetto romano, che cogliere funghi a Cernobyl.
E per sorprendere il califfo senza, bisognava essere davvero arditi, avere capacità mimetiche ineguagliabili, essere in grado di travestirsi chissà da cammello, da rosa del deserto, da bidone di greggio, da auto-bomba o dissimularsi nel sacco a pelo del truce salafita, fra le pieghe della sua tenda, sotto i suoi tappeti o fra le schiere delle sue innumerevoli mogli. Vero che, tutte velate come saranno state, al califfo potrebbe essere sfuggita quella moglie di troppo che sotto il velo nascondeva la madre di tutte le spie.
Chissà dove sarà ora il nostro intrepido incursore. Forse in un centro di decontaminazione, forse già alle prese con una nuova missione che lo vedrà sfilare le mutande a chissà chi altro, a Kim Jong-un, a Nicolàs Maduro, a Erdogan, a qualche boss mafioso, al capo dei narcos. Da questa vicenda ogni primula rossa del crimine internazionale deve trarre la dovuta lezione se vuole conservare qualche possibilità di sfuggire alla cattura facendosi credere morto al posto di un altro: mai allontanarsi dalle proprie mutande, mai lasciarle incustodite anche solo per un attimo e diffidare di chiunque volesse lavargliele, stirargliele, rammendargliele. Meglio ancora, non portarle proprio ed eliminare così ogni rischio alla radice.
Il guerrigliero prudente sotto la mimetica non porta niente.